Il 27 luglio 1915 nasceva a Firenze uno dei più importanti tenori del secolo scorso: Mario Del Monaco.
Premessa
Oggi, a distanza di alcuni anni, riprendo e approfondisco quanto scrissi nel 2002 - in occasione del ventennale dalla morte avvenuta il 16 ottobre 1982 - facendo bene attenzione a non scivolare nell'agiografia. L'obiettivo è quello di far riflettere coloro i quali si son fatti un'idea di Del Monaco, ascoltando esclusivamente qualche registrazione in studio e magari lasciandosi influenzare da una certa critica la quale, circa cinquant'anni fa, non si limitò ad assecondare i gusti che stavano cambiando, ma ce la mise tutta nell'indicare Del Monaco quale responsabile di un "malcanto" stilistico e tecnico.
Nell'ultimo ventennio qualcosa è stato fatto per ridare a Del Monaco una dimensione artistica adeguata e spero che anche questo "Speciale" possa essere utile a completare la necessaria revisione critica.
Invito a riflettere
Riflettiamo solamente su quello che c'è dato ascoltare con le nostre orecchie e su quello che possiamo leggere fra quanto riportato dalle cronache dell'epoca, sgombrando la mente da tutto il resto.
Per capire il fenomeno Del Monaco, è fondamentale tenere in giusta considerazione le recensioni dei giornali dell'epoca - soprattutto degli anni '40 -, in quanto le prime incisioni sono quelle fatte per la EMI nel 1948, mentre egli cantava già da diversi anni.
Se non prendessimo in considerazione le cronache giornalistiche relative ai dieci anni precedenti il suo debutto in sala d'incisione, salteremmo piè pari una fetta di carriera molto consistente e significativa.
La carriera non documentata dalle registrazioni
Iniziamo a ripercorrere sinteticamente, attraverso alcune cronache giornalistiche il percorso della carriera "nascosta" di Del Monaco: dopo una serie di concerti e recite fra studenti a partire dal 1930, il 20 marzo 1940 debuttò a Cagli nel ruolo di Turiddu (Cavalleria Rusticana) anche se solitamente viene considerata come data di esordio ufficiale, il 31 dicembre 1940; recita avvenuta al Teatro Puccini di Milano nel ruolo di Pinkerton della Madama Butterfly.
Di quella recita, anche se in verità non fu la prima assoluta della sua carriera, venne scritto:
"…accanto ad Atsuko Ito, che interpretò Cio Cio San con grazia canora e commovente verità scenica, il giovane tenore Mario Del Monaco si è meritato molte simpatie per i mezzi assai promettenti di cui è possessore facendosi acclamare con entusiasmo"
1/01/1941 - Corriere della Sera, articolo senza firma.
Dopo il successo ottenuto nel ruolo di Pinkerton, venne chiamato per lo stesso ruolo a Firenze con Toti Dal Monte.
Il 29 aprile 1941 al Teatro Nuovo di Verona interpretò Turiddu in Cavalleria e in quella occasione scrissero:
"…un Turiddu esuberante e pieno di fuoco, musicalmente pregevole, di sicuro avvenire"
30/04/1941 - L'Arena, Z.
"… con una voce fresca, squillante, intonata, che sale senza sforzo e che prende deliziosamente, ha impersonato il ruolo in maniera veramente superba"
30/04/1941 - Corriere Padano, articolo senza firma
Nel mese di maggio, MDM parte per la sua prima tournée, in occasione della Stagione Lirica di Primavera presso il Teatro Biondo di Palermo; durante questa trasferta, oltre a proporre l'ormai consueto Pinkerton, sarà Turiddu e per la prima volta Cavaradossi. Di queste prime apparizioni palermitane è curiosissima la recensione apparsa sul Giornale d'Italia:
"…il tenore Mario Del Monaco è piaciuto molto e, poiché ci troviamo a parlare di lui, completeremo subito la parte aggiungendo che questo giovanissimo cantante (25 anni) ci sembra destinato ad una carriera delle più brillanti. Egli ha una voce magnificamente timbrata su tutta l'estensione, polmoni robusti, facilità d'emissione, chiara, espressiva dizione e una spigliatezza di gioco scenico alquanto rara in uno che ha esordito da appena 6 mesi. Con la penuria di buoni tenori che c'è, Del Monaco è possessore di un tesoro. Se egli saprà amministrarlo sin d'ora con parsimonia, preparandosi ai più ardui cimenti senza fretta di sentirsi "arrivato", a trent'anni sarà diventato un artista della prima quotazione: la qual cosa ci auguriamo, oltre che per lui, per l'arte italiana".
27/05/1941 - Giornale d'Italia, p.l.i.
In ottobre dello stesso anno debuttò il ruolo di Edgardo in Lucia, a Catanzaro; di questo debutto scrissero:
"… ha sostenuto con arte e bravura la parte di Edgardo: ha cantato con la solita (nello stesso teatro aveva già interpretato il ruolo di Alfredo in Traviata) fresca e bella voce riscuotendo applausi più che meritati specie nel duetto con il soprano del primo atto, nel secondo atto ed alla romanza dolce e melanconica "Tu che a Dio spiegasti l'ali…" dell'ultimo atto."
10/10/1941 - Giornale d'Italia, senza firma.
Nello stesso anno debuttò, sempre con toni di cronaca molto positivi, in altri importanti teatri di tradizione: Teatro Regio di Parma, Politeama di Genova, Bellini di Catania, Teatro Verdi di Ferrara, ecc.
Bisogna ricordare che Mario Del Monaco venne chiamato per il servizio militare nel 1938 e in seguito alle tensioni politiche, prima, e alla guerra vera e propria, poi, fu costretto ad indossare la divisa per più di cinque anni. Come per tanti altri, anche per lui, fu un periodo molto duro nel quale alternava momenti abbastanza buoni, come quelli descritti sopra, del 1941, ad altri in cui era costretto a cantare per racimolare una bottiglia d'olio o un salame.
Per tutta la vita, Mario Del Monaco, non dimenticò mai di ricordare il colonnello Ninchi (fratello di Annibale e Carlo, attori), il quale, da grande appassionato d'opera qual'era, si erse a vero e proprio protettore di Mario Del Monaco, evitandogli, prima la spedizione in Africa e poi, sul finire del '41, quella in Russia; in quest'ultima occasione il colonnello Ninchi gli disse: "Ho tanta fiducia in te e sono certo che sarai più utile all'Italia con la tua voce che con il tuo fucile".
Purtroppo, con la partenza per la Russia del colonnello Ninchi, le cose per MDM si complicarono, tuttavia nel gennaio del 1942, cantò il ruolo di Rodolfo per il Dopolavoro Corale Senese, al suo fianco nel ruolo di Mimì, Clara Petrella. Riguardo questa performance scrissero:
"…Un artista appassionato che si immedesima nella sua parte, palpitando con accenti di verità e di intima commozione davvero ammirevoli. La sua voce, a timbro chiaro, a cui l'esperienza aggiungerà certamente toni più vellutati, si espande senza sforzo sino alle più ardue latitudini con viva drammaticità ed efficacia"
15/01/1942 - La Nazione, g.b.
In gennaio debutta nel ruolo di Milio Dufresne nell''opera Zazà, presso il Teatro Sociale di Como; sua partner in quest'opera una giovane Mafalda Favero. A questo proposito scrissero:
"… nei momenti di più risentita e vibrante espansività sentimentale, mandarono in delirio il pubblico… Del Monaco, anche se avrebbe potuto usare meglio il materiale canoro di cui dispone, avendo affrontato una parte di non lieve impegno, ha fatto molto e ha anche trovato accenti di indovinato effetto come nell'aria "O mio piccolo tavolo", da lui cantata con opportuni intendimenti e sentita emozione"
11/02/1942 - La Provincia di Como, F.A.
Ad aprile '42 riesce ad essere a Firenze per Lucia di Lammermoor con Lina Pagliughi e Piero Campolonghi. Scrissero:
"…nel ruolo di Edgardo si confermò giovane tenore che ha temperamento artistico e che dispone di un materiale vocale eccellente, adoprato con perizia e con bella incisività. Applaudito spesso a scena aperta ha meritato una particolare ovazione dopo l'invettiva del secondo atto."
12/04/1942 - La Nazione, senza firma
Nel maggio del '42 a Bolzano, fu ancora Pinkerton al fianco di Mafalda Favero e la cronaca fu:
"…voce generosa di sicuro timbro, estesa ed in possesso di acuti di immediata efficacia. Gagliardamente inebriato di tanto dono naturale, il Del Monaco distribuisce le risorse della sua ugola senza risparmio, con la munificenza tipica di chi non deve misurare i propri mezzi; ma di tal pregio ne soffrono talvolta le conseguenze le sfumature, le finezze, le mezze voci, i contrasti timbrici insomma, che sono essenziali in un canto condotto ad arte. Quando avrà, con accorto e non affrettato metodo, ben distribuito il dovizioso materiale che, con giovanile esuberanza, elargisce a piene mani e quando il suo gesto scenico avrà appreso a cadere più a proposito, egli potrà essere salutato come una delle buone energie del teatro melodrammatico"
29/5/1942 - La Provincia di Bolzano, gubar.
Nel 1942, grazie ad alcune conoscenze, riuscì ad ottenere un'audizione, piuttosto improvvisata dal M° Antonino Votto, il quale dopo averlo sentito, lo portò con se a Rosignano Solvay a cantare Butterfly. Di questa recita di Butterfly, accanto a Mafalda Favero, scrissero:
"Pinkerton in tutto pari al suo compito. La bella voce fresca, timbrata, il senso dell'arte del suo canto oltre ad armonizzare bene con la voce del soprano e a comporre con lei in modo ammirevole il duetto finale del I° atto, fu piena di fascino nella romanza "Bimba dagli occhi pieni di malia" e, nel terzo, in quell'"Addio" dove piange un'accorata nostalgia di ricordi. Il tenore Mario Del Monaco è giovanissimo e non ancora del tutto ha potuto dare prova di sé ma avrà certo un grande avvenire"
26/9/1942 - Il Telegrafo, Bianca Fleury Nencini
Nel novembre del '42 debuttò davanti ad un altro grande direttore: Gianandrea Gavazzeni. L'occasione si presentò per il Festival delle Novità che si teneva al Teatro Regio di Parma e l'opera era Ariodante di Nino Rota. A proposito del suo primo ascolto di Del Monaco, Gavazzeni in un'intervista disse: "Subito mi colpirono la lucentezza dello squillo, la bellezza del suono e la facilità del settore acuto. Poi notai che era un cantante musicale, di una musicalità straordinaria, unita alla coscienza veramente fanatica della preparazione e del modo di comportarsi"
All'inizio del 1943, MDM venne congedato. Purtroppo la libertà durò pochissimo, in quanto venne richiamato ed andò di stanza al Distretto di Treviso. L'anno artistico iniziò in modo abbastanza intenso anche se non sempre fitto di impegni importantissimi.
Erano anni in cui Del Monaco, per necessità, anche economiche, era disposto a cantare ovunque, a ogni ora e in qualsiasi ruolo, spesso spostandosi da un teatro all'altro per mezzo della sua prima bicicletta acquistata con i primissimi guadagni.
Dopo aver aperto la stagione con alcune recite di Butterfly a Cesena con Iris Adami Corradetti, si trasferì in Toscana per un ciclo di recite che debuttò il 6 marzo con L'Amico Fritz. Di questo debutto scrissero:
"Fritz era Mario Del Monaco, un tenore già affermatosi più volte nella carriera lirica. Ha una voce assai gradevole e di volume notevole, un temperamento di buone risorse. Fra i giovani cantanti odierni sa distinguersi e sa farsi applaudire disimpegnandosi con intelligenza senza quell'antipatico sussiego che miete tante vittime. L'Amico Fritz, forse, non è l'opera che meglio si confà al suo timbro di voce, ma egli ha superato questa nuova prova con molto impegno riscuotendo i consensi degli spettatori"
7/3/1943 - La Nazione, Mario Mazzocchi
Ora, per tentare di non cadere nell'errore di cui parlavo all'inizio, eviterò di riportarvi le altre cronache che, più o meno, con gli stessi toni di quelle sopra citate, accompagnarono i primi anni di carriera di Del Monaco ma vi proporrò un paio di ascolti tratti dalle primissime incisioni effettuate nel 1948:
Considerazioni
Leggendo queste critiche, notiamo come alcune avessero toni entusiastici mentre altre, pur sottolineando l'ottima resa vocale del tenore, erano quasi indispettite dall'interpretazione delmonachiana, completamente fuori, dagli schemi dell'epoca.
Provando a calarci nel contesto artistico dell'epoca, possiamo riuscire a comprendere i motivi di questa spaccatura: quando Del Monaco muoveva i primi passi sui palcoscenici, da almeno vent'anni Beniamino Gigli aveva imposto il suo stile e la sua personalità nel mondo artistico dell'opera e, come avviene inevitabilmente quando si impongono alla ribalta grandi artisti, anche Gigli influenzò lo stile di molti suoi giovani colleghi, creando una vera e propria moda interpretativa alla quale si riferivano le critiche e le aspettative dei melomani - soprattutto italiani. E' evidente che Del Monaco non si incanalò nella scia degli epigoni di Gigli ma si impose come artista di rottura, portando avanti un suo stile originale e moderno.
Ogni moda ha i suoi sostenitori e i suoi detrattori e, abbastanza facilmente, riusciamo a suddividere in tal senso i critici che scrissero le recensioni sopra riportate.
Per esempio, è abbastanza chiaro ed evidente che il critico del "Giornale di Sicilia", quando scriveva: "espressiva dizione e una spigliatezza di gioco scenico alquanto rara in uno che ha esordito da appena 6 mesi. Con la penuria di buoni tenori che c'è", non ne poteva più dei tenori che, se così si può dire, giglieggiavano o comunque cantavano con stile lezioso e recitazione poco credibile e questa sua insofferenza verso un modo "vecchio" di fare opera è ingigantita dalla frase, direi, decisamente infondata: "penuria di buoni tenori"; ricordiamoci che nel '41 erano in attività tenori come Merli, Martinelli, Lauri-Volpi, Bernardo De Muro, Enzo De Muro Lomanto, Lugo, Masini, Pertile, Filippeschi, Salvarezza, Schipa, Tagliavini (giovane ma che già incideva), Ziliani, Bjorling, Dermota, Schmidt, Kiepura, Lorenz, Luccioni, Melchior, Rosvaenge, Vezzani, Wittrisch e Gigli stesso; volendo potrei proseguire nell'elenco.
Ricordo il simpatico Angelo Mercuriali - comprimario storico - quando mi disse: "Carissimo Danilo, nei primi anni '40 per me fu vitale, se volevo mangiare, effettuare la scelta di impormi nei ruoli da comprimario in quanto, soltanto alla Scala, eravamo circa cento tenori di buona tecnica e voce."
Allo stesso modo, è altrettanto evidente come il critico de La Provincia di Bolzano, quando scriveva: "Del Monaco distribuisce le risorse della sua ugola senza risparmio, con la munificenza tipica di chi non deve misurare i propri mezzi; ma di tal pregio ne soffrono talvolta le conseguenze le sfumature, le finezze, le mezze voci, i contrasti timbrici insomma, che sono essenziali in un canto condotto ad arte", evidenziava una certa caratteristica critica conservatrice, confrontando il canto di Del Monaco a quelli che erano stati sino, ad allora, i già citati modelli di riferimento e chiarisce ulteriormente il concetto, aggiungendo: "…e quando il suo gesto scenico avrà appreso a cadere più a proposito…", denotando una certa abitudine al tipico tenore da centro palcoscenico con il piedino destro proteso verso la platea.
Di critiche mirate a riportarlo verso binari già tracciati venti o trent'anni prima, da illustri protagonisti del melodramma, Del Monaco continuò a riceverne fin sul finire degli anni '40, tuttavia grazie alla sua caparbietà e alla fortissima personalità artistica, non si lasciò influenzare e andò avanti per la sua strada, incassando le critiche e rafforzando ancor più le sue peculiarità. Talune critiche si smorzarono solamente dopo che la sua fama ebbe varcato abbondantemente i confini nazionali e continentali.
Naturalmente la sua cocciutaggine, la pagò a caro prezzo e i risultati li possiamo notare: dieci anni di carriera senza testimonianze discografiche. Per lui sarebbe stato più semplice adottare il metodo utilizzato da tanti altri giovani che si adattarono alle circostanze; un esempio per tutti, senza volerlo offendere: Ferruccio Tagliavini, e in certa misura il Di Stefano della prima parte di carriera.
Una diceria sostenuta da queste critiche ed in seguito diventata quasi una frase standard radicata fra i luoghi comuni utilizzati da quanti non riuscirono (o non vollero) comprenderlo era: "Del Monaco non è capace a sfumare, è monocorde e non ha la mezzavoce"; io dico: nulla di più falso!
Se proprio vogliamo pignolare con qualche esempio eccone qui qualcuno:
E' chiaro che se da una vocalità come quella di Del Monaco, ci si aspettano mezze voci alla Tito Schipa, siamo completamente fuori strada. Le sue rimangono sempre mezze voci virili, da eroe, da condottiero, da bandito, ma sicuramente, vere mezzevoci. Vorrei inoltre chiarire che con il termine mezza voce si intende, la dinamica atta ad attenuare il volume della voce in modo sensibile, senza per questo variarne il timbro, perdere colore o sbiancarsi, come spesso abbiamo sentito fare a tanti cantanti ritenuti possessori di questa caratteristica.
La sua voce e il suo carattere lo predisponevano a interpretare i ruoli dall'infuocata passionalità, ruoli drammatici e su queste predisposizioni studiò continuamente cercando fino all'ossessione di avvicinarsi il più possibile alla perfezione.
La ricerca instancabile dello studio della vocalità e dei personaggi che avrebbe voluto portare in scena, lo accompagnò fino alla fine della carriera, portandolo spesso a rinviare molti debutti di nuovi ruoli e in taluni casi, quando riteneva di non riuscire a far sovrapporre perfettamente la psicologia del personaggio, alla sua vocalità, finiva per rinunciarvi.
Questi furono i motivi per cui molto probabilmente ci privò del piacere d'ascoltarlo in opere quali la Juive, della quale esiste testimonianza di una formidabile interpretazione dell' Aria di Eleazar; ascoltandola il paragone con Caruso viene naturale.
La stessa prudenza che lo portava a debuttare nuovi ruoli solamente quando se li sentiva perfettamente cuciti addosso, lo spinse a togliere alcune opere, forse troppo prematuramente dal suo repertorio. Credo che tra gli estimatori di Del Monaco sia abbastanza unanime il dispiacere di non avere tracce dei suoi tanti Pinkerton ed io sono sicuramente fra quanti rimpiangono almeno una sua Butterfly live - anche se esiste una registrazione privata -, ma personalmente rimpiango, ancor di più che non ci siano tracce delle sue cinque recite di Lucia di Lammermoor.
Sono convinto che il ruolo di Edgardo fosse molto più adatto al primo Del Monaco, piuttosto che ai tenorini sbiancati cui si tende a farlo cantare oggi giorno. Se pensiamo che il ruolo venne scritto per Gilbert Duprez, vero tenore di forza, possiamo renderci conto di come sia stato snaturato negli anni questo personaggio, al quale MDM avrebbe potuto ridare la sua vera identità.
Della seconda parte della carriera di Del Monaco si è già scritto tanto, ma soprattutto ci sono le tante testimonianze discografiche, sia live che incisioni effettuate in studio. Egli fu uno dei primi artisti lirici a capire il vantaggio che sarebbe derivato dal corretto sfruttamento delle emergenti e moderne tecniche mediatiche, ai fini della diffusione della sua popolarità e del personaggio che seppe crearsi grazie all'enorme carisma.
Rivalutiamo Mario Del Monaco riprendendo possesso del nostro spirito critico
Bisogna solo avere la buona volontà di riprendere possesso del proprio spirito critico e tornare a riascoltare con la mente sgombra da tutte le nefandezze, totalmente infondate, scritte sul suo conto.
Ci rendiamo conto, alla luce dei fatti, quanto Del Monaco contribuì a svecchiare il mondo dell'Opera a cavallo tra gli anni '40 e '50, ma ancora oltre, fino agli anni '70 ?
Tokyo 1961 - Andrea Chenier: Sì, fui soldato |
Del Monaco fu capace di avvicinare all'opera molti giovani che all'epoca, andando al cinema, impazzivano per Errol Flynn e tanti altri eroi hollywoodiani, portando movimento, vivacità alle interpretazioni e per riuscire in questo, curava molto la forma fisica, pur avendo molto probabilmente, potuto accontentarsi della voce.
Tutte le volte che mi è capitato di parlare con qualcuno che lo vide in palcoscenico, mi è sempre stato riferito della sua impressionante capacità di catalizzare l'attenzione dello spettatore, a tal punto che in certi momenti sembrava vi fosse solo lui in scena.
A mio modo di vedere, anche alcuni grandi tenori, venuti alla ribalta circa una quindicina d'anni dopo, fecero, dal punto di vista interpretativo, dei passi indietro rispetto allo stile e alle novità che aveva introdotto MDM.
È proprio per la costante ricerca interpretativa mirata al raggiungimento del miglior gesto, del miglior accento, del suono più appropriato, sempre per trasmettere il massimo della credibilità ai suoi personaggi, anche a costo di giocarsi delle critiche negative che dovremmo collocare Del Monaco fra i pochi cantanti storici, dove per storico intendo: di svolta, di cambiamento, rivoluzionari, innovativi, per capirci, come Callas lo fu in contesto femminile.
Del Monaco, pur avendone avuti i mezzi, non utilizzò mai la voce come strumento fine a se stesso ma sempre al servizio del contesto scenico e della credibilità teatrale.
Se ascoltiamo le sue registrazioni, soprattutto live, noteremo che a differenza di molti suoi predecessori o altri colleghi che vennero in seguito, tra cui alcuni che lo assursero a modello, le recite di Del Monaco non furono mai fitte di gigioneggiamenti atti solo a evidenziare la platealità del gesto, ma le corone o le "esagerazioni" erano usate per esprimere un particolare momento dell'opera che stava interpretando in quel momento. A tal proposito vi propongo due spezzoni particolarmente esplicativi di quest'ultima considerazione, entrambi tratti da entrambe tratte da un live dal Teatro Comunale di Firenze - 19/01/1951:
Conclusione
Nella seconda parte della sua carriera, come ho già sottolineato prima, Del Monaco sacrificò molti ruoli (forse di questo possiamo fargli una colpa), perché li considerò deleteri verso altri personaggi che lui sentiva più consoni alla sua personalità.
Dapprima sacrificò Fritz, Duca di Mantova, Riccardo, Alfredo, Edgardo, Turiddu, Rodolfo, Maurizio, in seguito Enzo Grimaldo, De Grieux, Pinkerton, Calaf, Don Alvaro, Manrico, per concentrare tutte le sue energie e capacità soprattutto sullo sviluppo di Chenier, Radames, Canio, Don Josè, Dick Johonson, Loris Ipanoff, Ernani, ma soprattutto Pollione, Samson e Otello.
L'ormai famigerata critica, verso la cui serietà nutro seri sospetti, ha tentato di smontare a tal punto i risultati (fortunatamente documentati) raggiunti da Del Monaco, in favore della cosiddetta Belcanto Renaissance, da tentar di demolire persino il personaggio nel quale egli riversò buona parte delle sue energie: Otello.
Ogni volta che sento parlare dell'Otello di Del Monaco, mi meraviglio di come non venga fatta una riflessione semplicissima, quasi banale: "secondo voi è possibile catalogare l'Otello di Del Monaco in un sol modo, come spesso viene fatto dai suoi detrattori? A proposito dell'Otello delmonachiano ho sentito dire: "Otello tutto muscoli e niente cervello", "monocorde", "vociferante" e chi più ne a più ne metta. Immagino siate d'accordo con me nel ritenere impossibile catalogare così semplicisticamente questo ruolo delmonachiano. Dovrebbe essere chiaro a tutti che, avendo MDM debuttato Otello nel 1950 e avendolo, in seguito cantato per altre 426 volte sino al 1972, non sia credibile la tesi che per tutti questi anni abbia mantenuto la stessa identica linea interpretativa. Non solo non è credibile, ma sicuramente non fu così.
In tutta la parabola più che ventennale nella quale MDM sviluppò il ruolo del Moro, lasciò inesplorate ben poche visioni interpretative viste in seguito (non me ne vogliano i sostenitori di Domingo o di Vickers, ai quali comunque non voglio togliere meriti) e salutate come innovative. E' chiaro che quando infiammò ancora i pubblici europei negli anni '70, nel corso delle sue ultime tournée, sicuramente dava di Otello una visione diversa, più intimista, più stanca, da quella che utilizzava negli anni '50; non fosse altro per le sue variate condizioni vocali.
Provate ad ascoltare questa versione di "Niun mi tema" registrata sotto la direzione di Erede nel 1954 e ditemi se non percepite anche voi un immedesimazione totale nel personaggio. Io riesco a sentire attraverso MDM, l'amore per Desdemona, il dolore per averla stupidamente uccisa, lo sconforto di un uomo distrutto e senza più un briciolo di orgoglio.
Riguardo le incisioni di Otello con MDM, ho notato spesso, come molti prendono a riferimento l'edizione DECCA diretta da Karajan; non so perchè, ma ho il sospetto che molti preferiscano riempirsi la bocca con la parola Karajan piuttosto che con la parola Erede. Personalmente trovo l'Otello inciso con Karajan, uno dei peggiori fra le versioni che conosco con MDM (e non sono poche), perchè lo trovo impersonale, stanco, forse anche un po' troppo costretto dal volere del direttore austriaco. Molto meglio il Del Monaco assecondato da Alberto Erede.
Parigi 1975 (uno degli ultimi concerti) - Pagliacci: Vesti la giubba |
Vorrei concludere questo omaggio a Mario Del Monaco, proponendovi l'Esultate tratto dalla 472a e ultima recita di Otello cantata dal tenore fiorentino nella sua carriera; era il 4 novembre 1972 e Del Monaco sfoggia ancora un fiato prodigioso. A mio avviso è un po' triste pensare che un simile Otello abbia dovuto veder chiudere l'ultimo sipario della carriera in Belgio - seppure nel prestigioso Théâtre Royal de la Monnaie - anziché presso qualche importante teatro italiano. Come tante altre volte, un'occasione persa per i teatri italiani.
Danilo Boaretto
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Segnalazioni utili
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Giuseppe Verdi - Un ballo in maschera: Si rivederti Amelia
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Giuseppe Verdi - Otello: Esultate (4 nov. 1972: ultima recita di Otello cantata de Del Monaco)