Direttore | Daniele Gatti |
Sächsische Staatskapelle Dresden | |
Arnold Schönberg | Verklärte Nacht Op. 4a (trascrizione per orchestra d'archi, rev. 1943) |
Gustav Mahler | Sinfonia n. 1 in re maggiore “Titano” |
Promette meraviglie l’incontro tra la Staatskapelle Dresden e Daniele Gatti, che di fatto inaugura la sua investitura a direttore principale dell’orchestra con una tournée europea che ha toccato, tra le tante destinazioni, anche il Teatro Filarmonico di Verona, che come ogni anno in questo periodo ospita il Settembre dell’Accademia, un festival che porta in città alcuni degli interpreti e delle formazioni più prestigiosi a livello internazionale.
Che il sodalizio tra il direttore italiano e l’orchestra tedesca possa condurre a vette di reciproca esaltazione lo si poteva immaginare conoscendo le rispettive caratteristiche, ma alla prova dell'ascolto emerge inequivocabilmente. Da un lato c’è una compagine sontuosa per qualità e risorse timbriche, con un’identità definita ma altresì abbastanza duttile da piegarsi alle sollecitazioni di una personalità musicale forte, dall’altro un direttore che ama sviscerare partitura e suono e che ha un’idea precisa su come mettere a frutto una tale ricchezza.
È qualcosa che emerge già dal rapporto con gli archi nella Verklärte Nacht di Arnold Schönberg, proposta nel giorno in cui ricorreva il centocinquantesimo anniversario dalla nascita del compositore. Una Notte che davvero si trasfigura continuamente, modellata in ogni linea dalle mani di un direttore dominante e, per certi versi, ipercontrollante sull’orchestra, che plasma ogni battuta pilotando contemporaneamente le diverse sezioni, esasperando le tinte, i rapporti di peso, e scavando minuziosamente in cerca del dettaglio da illustrare, inatteso, di fronte all’ascoltatore. È una prova tecnicamente sbalorditiva, concretizzata da un comparto archi straordinario per qualità d’insieme e delle prime parti, in cui la cura per l’infinitamente piccolo non va mai a scapito di un’esposizione avvincente della pagina.
Lo stesso dominio totale della partitura - a memoria - c’è nel Mahler della Prima sinfonia, che è radiografato nel più minuscolo chiaroscuro fin dall’incipit quasi stravinskiano, con i legni che pigolano su un tappeto tenebroso degli archi. Quel che a parole potrebbe sembrare un esercizio narcisistico di concertazione, è in realtà un vero e proprio processo esegetico: è come se Gatti, esaltando la fantasia di scrittura e orchestrazione, riuscisse ad evocare immagini, a raccontare mondi, a restituire il percepito intimo di quelle reminiscenze popolaresche che hanno ispirato il compositore stesso.
Ci arriva non magnificando l’afflato tardoromantico, ma piuttosto forzando certe scelte di articolazione e fraseggio - originalissimo ad esempio quello nel grande tema struggente del finale - ed estremizzando il contrasto caratteriale tra le diverse sezioni che compongono ciascun movimento. Il terzo tempo, Feierlich und gemessen, ohne zu schleppen, con il canone che cede il passo a una sezione centrale di bucolica tenerezza per ritornare come corrotto in dissonanze sinistre da carillon arrugginito è al tempo stesso commovente per potenza suggestiva e illuminante per originalità dell’analisi.
Quello di Gatti è un approccio all’opera di Mahler per certi versi estremo, ancorché non sorprendente per chi l’abbia già ascoltato in passato, ma perfettamente sostenuto anche nelle scelte dei tempi e del loro sviluppo. Resta infine da dire di un’orchestra, la Staatskapelle di Dresda, non meno che straordinaria per qualità dei singoli e per capacità di esprimere un legato d’insieme magicamente acquoso, leggermente penalizzata tuttavia dall’acustica della sala che tende a soffocare il suono e creare una strana frattura tra archi e fiati.
Pieno successo a fine concerto e pubblico salutato con un Intermezzo dalla Manon Lescaut straordinariamente pennellato proposto come bis.
La recensione si riferisce al concerto di venerdì 13 settembre 2024.
Paolo Locatelli