Violetta Valéry | Ekaterina Bakanova |
Alfredo Germont | Francesco Demuro |
Giorgio Germont | Nicola Alaimo |
Flora Bervoix | Loriana Castellano |
Annina | Barbara Massaro |
Gastone | Roberto Covatta |
Il barone Douphol | Armando Gabba |
Il dottor Grenvil | Rocco Cavalluzzi |
Il marchese d’Obigny | Matteo Ferrara |
Giuseppe | Salvatore De Benedetto |
Un domestico di Flora | Nicola Nalesso |
Un commissionario | Enzo Borghetti |
Direttore | Diego Matheuz |
Maestro del coro | Alfonso Caiani |
Regia | Robert Carsen |
Scene e costumi | Patrick Kinmonth |
Coreografia | Philippe Giraudeau |
Light designer | Robert Carsen e Peter Van Praet |
Regia ripresa | Christophe Gayral |
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice |
Vent'anni fa la Fenice risorta dalle ceneri dell'incendio del gennaio 1996 riaprì con una Traviata firmata da quello che già nel 2004 era considerato uno dei registi più importanti in attività, Robert Carsen. Dirigeva, pare non con troppo entusiasmo, Lorin Maazel, che per l'occasione aveva accettato di rispolverare l'edizione originale che aveva debuttato proprio a Venezia il 6 marzo del 1853. In pochi avrebbero potuto immaginare che quella produzione nei due decenni a venire sarebbe diventata un totem nel nuovo ciclo della Fenice, che da allora l'ha riproposta a ciclo continuo, adeguandola nel frattempo alla stesura definitiva dell'opera, così da farne una sorta di spettacolo da teatro di repertorio alla tedesca, buono per fare botteghino coi turisti, talvolta senza preoccuparsi di rifinire con troppa cura l'ennesimo rimontaggio.
Non è questo il caso. Per un compleanno che fa cifra tonda il teatro ha rimesso in moto il vecchio spettacolo carseniano, programmandolo parallelamente all'Otello che ha aperto la stagione, con l'attenzione che si dà ai titoli in abbonamento: buon cast, tante prove e il ritorno sul podio dell'orchestra di casa dell'ex direttore principale Diego Matheuz, che probabilmente è tuttora il recordman di Traviate dirette a Venezia con quasi cinquanta recite in curriculum.
Il quale Matheuz non si discosta granché dal ricordo che aveva lasciato, ma lo aggiusta in positivo. Se permane una certa estraneità di fondo alla flessibilità del canto italiano nelle arie e, oggi come allora, si nota qualche sfasamento di troppo tra buca e palco, si apprezza d'altro canto una conduzione serrata e senza fronzoli, che esalta l’enfasi dei momenti più drammatici e il tono spumantino delle feste. Gli dà man forte un'Orchestra della Fenice protagonista di una prova maiuscola per morbidezza d’amalgama, pulizia esecutiva, compattezza e legato d'insieme.
Il tono asciutto della direzione si sposa con l’impostazione drammaturgica di uno spettacolo che, al netto dei due decenni d’età, non sembra invecchiato di un giorno. L’ambientazione è traslata in un passato molto prossimo e Violetta è esplicitamente una prostituta che bazzica il giro di un'alta società disgustosamente frivola e cinica in cui il denaro, onnipresente, è l'unico strumento di interazione tra persone. Denaro che è dappertutto: esce dalle tasche e dai cassetti, piove dal cielo, salvo poi sparire nel terzo atto, quando Violetta rimane sola e dimenticata dal mondo, nel suo appartamento in disarmo, come un giocattolo rotto di cui liberarsi al più presto.
La ripresa della regia, curata dell'assistente di Carsen, Christophe Gayral, è praticamente una copia uno a uno dell'originale, ormai interiorizzata dalle maestranze della Fenice in ogni movimento, che risulta perfettamente oliato.
Nella parte del titolo doveva esserci Marina Monzó, messa fuori gioco da una indisposizione alla vigilia della generale e sostituita in corsa, almeno per la prima recita, da Ekaterina Bakanova, che proprio a Venezia e proprio con Matheuz aveva debuttato in Violetta una decina d'anni fa, destando un’ottima impressione.
Oggi si ammira una Violetta ancor più matura nella vocalità, che si è fatta più rotonda e sonora nel registro medio-grave, ma anche nella caratterizzazione musicale e attoriale. Bakanova è il genere di artista cui si crede in ogni momento e non è tanto questione di un non meglio definibile carisma, ma di una cura assoluta per la dinamica e l'accento della parola, anche in quelle piccole frasette apparentemente insignificanti in cui passa la differenza tra l'interprete e l'esecutore e, allo stesso modo, del gesto scenico, che nasce sempre sulla musica.
Ancorché più convenzionale, è ben sbalzato anche l’Alfredo di Francesco Demuro, in cui si apprezza un notevole lavoro di rifinitura soprattutto nella scena che apre il secondo atto, assai ben cesellata, con tanto di cabaletta chiusa su un brillante do acuto.
Nicola Alaimo fa un Germont molto interessante - come conferma l’accoglienza trionfale riservatagli dal pubblico - nella tornitura del peso specifico di ogni parola, ora declamata, ora accarezzata in mezzavoce, a definire tutto quello spettro di contraddizioni umane che pervadono il suo personaggio: la severità e il paternalismo, la rabbia, la compassione e quella subdola tendenza a instillare sensi di colpa in chi gli sta davanti. Un’umanità che quasi stride col taglio registico, che fa di Germont un vecchio bavoso pronto ad assoldare i servizi della nuora. Nel quadro di una vocalità ampia e modellata con dovizia di dinamiche e accento, si avverte tuttavia una certa mancanza di omogeneità del suono nella salita verso gli acuti.
Sono ottime le prove di Loriana Castellano e Barbara Massaro, rispettivamente Flora e Annina, che lo spettacolo tratta senza nessuna pietà: sottilmente perfida la prima, infida e pronta a scappare con la pelliccia di Violetta a corpo ancora caldo la seconda. Armando Gabba è un barone Douphol ben più che affidabile, Roberto Covatta un Gastone di inedita baldanza vocale. Completano più che degnamente il cast Rocco Cavalluzzi (dottor Grenvil), Matteo Ferrara (marchese d’Obigny), Salvatore De Benedetto (Giuseppe), Nicola Nalesso (domestico di Flora) ed Enzo Borghetti (commissionario).
Ineccepibile anche la prova del Coro della Fenice preparato da Alfonso Caiani.
A fine recita successo caloroso e prolungato per tutta la compagnia, con punte di entusiasmo per la protagonista e per Alaimo.
La recensione si riferisce alla recita di venerdì 22 novembre 2024.
Paolo Locatelli