Cio-Cio-San | Valeria Sepe |
Suzuki | Anna Maria Chiuri |
Kate Pinkerton | Claudia Belluomini |
B.F. Pinkerton | Vincenzo Costanzo |
Sharpless | Sergio Bologna |
Goro | Manuel Pierattelli |
lo Zio Bonzo | Gaetano Triscari |
Il Principe Yamadori | Italo Proferisce |
Il Commissario Imperiale | Enzo Ying |
L'Ufficiale del registro | Aleessandro Ceccarini |
Direttore | Jacopo Sipari di Pescasseroli |
Regia | Vivien Alexandra Hewitt |
Scene | Ken Yasuda |
Costumi | Regina Schrecker |
Luci | Gianni Paolo Mirena |
Orchestra e Coro del Festival Puccini |
Per una scelta non immediatamente comprensibile la Madama Butterfly collocata come ultimo titolo operistico del cartellone del 70° Festival Puccini viene presentata come un “evento speciale” - nemmeno si trattasse di un'Aida o di un Wozzek - in occasione dei 120 anni dalla prima esecuzione dell'opera. A prima vista la specialità di questo spettacolo, che ha riscosso un considerevole successo di pubblico, pare quella di essere l'unica vecchia produzione riproposta, in un programma che per il resto ha visto solo nuovi allestimenti, tutti rigorosamente a firma del duo Pizzi-Gasparon.
Archiviato l'imponente led wall che ha caratterizzato l'impianto scenico di tutte le produzioni nuove, si è così tornati al tradizionale colpo d'occhio che fa intuire il lago dietro le scene e si è rivisto l'allestimento firmato da Vivien Hewitt, di gran lunga lo spettacolo più ripreso nella storia del Festival. Nato nel 2000 nell'ambito del progetto “Scolpire l'opera”, lo si è rivisto nel 2002, 2003, 2004, 2010, 2012 e 2016. La quantità di repliche fa intuire come questa Butterfly si sia rivelata uno degli esiti più felici di quel progetto dai risultati alterni e variabili dall'eccellente al pessimo, comunque encomiabile nell'idea di fondere l'arte figurativa con quella teatrale, seppur con il limite di far trovare ai registi, di volta in volta scritturati, un progetto scenico già ideato autonomamente da scultori o pittori.
In questo caso creatore delle scene fu lo scultore nipponico Kan Yasuda che immaginò un Giappone idealizzato e antirealistico, atemporale al pari dei magnifici costumi della stilista Regina Schreker, quasi astratto nella sua pulizia visiva e caratterizzato dal colore bianco. Spettacolo fatto apparentemente di nulla, eppure più giapponese nello spirito di tante Butterfly cosiddette “tradizionali”, che il garbo della Hewitt contribuì a rendere di una gradevolezza che non teme il tempo che passa e perciò riproponibile a oltranza. Per maggiori dettagli sulla regia si rinvia alla recensione di chi scrive in occasione della ripresa del 2016 che a sua volta rinvia alle molte altre occasioni in cui lo spettacolo è stato seguito da questa rivista.
La delicatezza dell'allestimento trova una corrispondenza con la direzione di Jacopo Sipari di Pescasseroli, che propone una lettura dell'opera dai toni sfumati e malinconici e in cui la tragedia che si consumerà pare intuirsi sin dal primo atto, facendo emergere più la dimensione spirituale che le passioni della protagonista, come se Cio-Cio-San trascendesse l'amore verso Pinkerton in una sorta di devozione quasi religiosa. Una lettura originale e pure coraggiosa da proporre all'aperto, visto che si traduce nella scelta di sonorità talvolta soffuse e di una predilezione per tempi ampi, pur nell'ambito di una certa varietà nell'agogica. La ricerca di colori e trasparenze sonore, ben assecondata dall'Orchestra del Festival, consente a questa scelta interpretativa di funzionare dal punto di vista musicale. Non irreprensibile la prestazione del Coro nel primo atto, che però esegue con buona uniformità di intenti il celebre brano "a bocca chiusa".
Valeria Sepe aveva già affrontato (ed evidentemente rodato) il ruolo del titolo al San Carlo di Napoli, apparendo in questa occasione padrona del personaggio, convincente tanto dal punto di vista vocale quanto da quello interpretativo. Dotata di voce di soprano lirico dalla seconda ottava sonora e ben sfogata in acuto, esegue in modo accettabile l'impervio re bemolle facoltativo nella scena di entrata, conferma la buona personalità che già si era notata in altre parti, sin dall'inizio della sua carriera, fraseggia con gusto e mostra una più che discreta tenuta nel lungo ruolo. Il soprano sceglie di temperare la propria espressività con accenti di composta dignità, anche nel dolore, e gestisce con mestiere la relativa debolezza della suo registro grave, che la limita un po' in alcuni passi come buona parte di “Un bel dì vedremo”.
Ormai veterano del ruolo di Pinkerton nonostante l'ancor giovane età, Vincenzo Costanzo emerge per la bellezza timbrica della sua prima ottava, per la naturale comunicativa che fa il paio con la presenza scenica e per l'ampiezza dei fiati che non si fa pregare ad esibire e mettere in cornice, con effetti che strizzano l'occhio a modelli di un passato piuttosto lontano. Vezzi parzialmente perdonabili in un'arena estiva, che peraltro pare gradire. Il passaggio superiore, assai sollecitato in questo ruolo dalla tessitura piuttosto alta, appare invece non di rado difficoltoso e compromette la precisione di diverse frasi ascendenti.
Sergio Bologna conosce bene la parte di Sharpless per averla affrontata in molte occasioni, così che gli accenti sono appropriati e le intenzioni interpretative, supportate dalla nitida dizione, suppliscono in parte a una forma vocale appannata. Caratteristica quest'ultima che fa il paio con il Goro di Manuel Pierattelli, risolto nella finezza degli accenti che definiscono un personaggio mellifluo e viscido non privo di interesse.
Suzuki è affidata alla robusta vocalità e al timbro ambrato di Anna Maria Chiuri, non proprio immacolata nella linea di canto, ma capace di conferire un'incisività non comune ai suoi interventi, sin dal primo atto. Molto bene lo Zio Bonzo di Gaetano Triscari, preciso e potente ma non tonitruante; ben centrati anche Italo Proferisce come Yamadori e Claudia Belluomini come Kate Pinkerton; adeguato il Commissario Imperiale di Enzo Ying. Alessandro Ceccarini come Ufficiale del registro completa un cast che viene premiato da lunghi applausi da parte di un pubblico assai numeroso, tanto quasi da esaurire l'ampia arena del Gran Teatro all'aperto, così come forse non si era mai visto negli spettacoli precedenti. Caldi consensi indirizzati in particolare alla protagonista Valeria Sepe.
La recensione si riferisce alla recita del 30 agosto 2024.
Fabrizio Moschini