tenore | Levy Sekapane |
basso | Adolfo Corrado |
soprano | Chiara Isotton |
mezzosoprano | Teresa Iervolino |
direttore | Myung-Whun Chung |
Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia |
Il ritmo implacabile di un Toscanini, le flessuosità di un von Karajan sono interpretazioni lontane da quella che Myung-Whun Chung ha offerto nella Sinfonia in si min. n. 8 “Incompiuta” di Franz Schubert, composta nel 1822 ed eseguita per la prima volta nel 1865.
Uno di quei capolavori chiari e misteriosi al tempo stesso, molto discussi e moltissimo interpretati da ogni direttore di valore.
A Roma, con l’orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia, il maestro sudcoreano ne ha dato una lettura personale fascinosa: misurata, controllata, una pura contemplazione. Tempi non rapidi e nemmeno troppo indugianti, attenzione alle pause, all’intreccio archi-legni, alla cantabilità che nei due tempi “Allegro moderato” e “Andante con moto” si snoda come un susseguirsi emozionante del sentimento, dolce e triste, sospeso anche.
Nel primo tempo, l’incipit con i violoncelli sussurranti sul tremolo dei violini creava subito una atmosfera di attesa bellissima aprendo alla melodia che dopo le variazioni arrivava intatta al finale, così come accadeva nel secondo movimento sotto la bacchetta vigile del maestro. Il risultato è stato di una morbidezza di suono, di un ”legato” nel dialogo tra le sezioni, di una sensibilità avvolgente che ha scosso il pubblico, l’ha stupito grazie ad una direzione ”scavata”, interiorizzata e alla risposta trepidante dell’orchestra in questo lavoro delicato e a tratti sofferto che, una volta terminato, si riascolterebbe subito.
La seconda parte del concerto è stata dedicata allo Stabat Mater di Rossini, partitura composta tra il 1831 e il 1842 da un autore non più ottimista come nel passato. I versi attribuiti a Jacopone da Todi sono un lamento alto individuale e corale della Madre di Cristo e dei fedeli. Un quartetto di solisti e il coro disegnano una opera “sacra” secondo il gusto rossiniano con tocchi operistici (“Cujus animam”, “Quis est homo”), impennate come nell’Inflammatus, momenti metafisici (“Quando corpus”) e la scrittura talora a cappella del coro, di suggestiva spiritualità. Il risultato: una”sacra rappresentazione” rossiniana matura, sofferta, e a tratti drammatica come nel finale che Chung sollecita con veemenza.
Egli ha diretto con una esattezza, una partecipazione personale l’orchestra appassionata, il magnifico coro ceciliano – un autentico personaggio -, e il quartetto: il tenore Levy Sekapane, voce fresca anche se piccola, il basso Adolfo Corrado, di nobile vocalità pur leggero nelle note gravi, e le due voci femminili esperte, il soprano Chiara Isotton e il mezzosoprano Teresa Iervolino, cantanti dotate e sicure.
L’insieme ha creato una atmosfera raccolta, grazie alla dilatazione dei tempi, ai colori dei legni e degli ottoni e agli archi sempre luminosi. Un successo.
La recensione si riferisce all'esecuzione del 18 gennaio.
Mario Dal Bello