Floria Tosca | Chiara Isotton |
Mario Cavaradossi | Francesco Pio Galasso |
Il barone Scarpia | Roberto Frontali |
Cesare Angelotti | Gabriele Sagona |
Il sagrestano | Matteo Peirone |
Spoletta | Massimiliano Chiarolla |
Sciarrone | Italo Proferisce |
Un carceriere | Cosimo Diano |
Un pastore | Anna Costa |
Direttore | Valerio Galli |
Regia | Mario Pontiggia |
Scene e costumi | Francesco Zito |
Luci | Bruno Ciulli |
Maestro del Coro | Ciro Visco |
Maestro del Coro di voci bianche | Salvatore Punturo |
Orchestra, Coro e Coro di voci bianche del Teatro Massimo |
Si trasforma in un galà l’ultima recita di Tosca programmata dal Teatro Massimo a cavallo dei “ponti di fine Aprile”. La sala del Basile ospita infatti i Procuratori generali delle delegazioni dei Paesi del Consiglio d’Europa, autorità locali e alti ufficiali delle forze armate, ai quali viene offerto come fuori programma ludico lo psicodramma pucciniano.
Già perché Tosca, così come musicato dal compositore e sfrondato nell’azione rispetto al dramma di Sardou, su precise indicazioni dello stesso Puccini, è un congegno ad orologeria pronto a deflagrare. Se le indicazioni contenute nel libretto indicano una precisa temperie storica alla quale è difficile derogare, se la partitura è un continuum che persino nelle oasi liriche non lascia tregua allo spettatore, ispirarsi al gusto viscontiano per confezionare una produzione giocata sul pedissequo rimando alle didascalie è però indice di un atteggiamento rinunciatario che deprime il forte senso teatrale contenuto nell’opera.
La ripresa dell’allestimento nato nel 2008 per il Maggio Musicale e poi importato a Palermo nel 2014, si articola infatti attorno a scene opulente e costumi pregevolissimi di Francesco Zito che però si limitano ad arredare e non sono supportati da una regia in grado di sottolineare la crudezza di una vicenda nella quale la protervia è protagonista. Mario Pontiggia si limita infatti ad assecondare la successione delle scene e regolare il flusso delle interazioni fra personaggi così che il tessuto musicale si deve fare carico dell’intero spettacolo.
In effetti Valerio Galli, formatosi al Festival di Torre del Lago, del repertorio pucciniano è ormai profondo conoscitore oltre che interprete d’elezione. Nel corso dello spettacolo mostra dunque la naturale consonanza con le insidiose agogiche fatte di continui cambi di metro contenute nella partitura. Se la concertazione è improntata su tempi per lo più distesi, interessante è l’attenzione ai dettagli quali la sinistra coda orchestrale del finale secondo, vero sordo presagio con il quale gli archi bassi sembrano preludere all’ineluttabile disinganno nell’incombente alba romana. Proprio il mattinale, mirabile costruzione evocativa in partitura, pecca per la verità lievemente di suggestione a causa del cincischio di sonagli che accompagna lo stornello della voce bianca, e per la peculiare distribuzione delle campane che ne annulla il senso di spazialità. La concertazione è però molto attenta alle esigenze dei cantanti e vira dal deflagrante inizio dell’opera in medias res alla puntuale esposizione dei Leitmotive, alternando dinamiche che, oscillando dai pianissimi ai fortissimi, imprimono il passo teatrale che manca alla concezione registica.
Cambiano gli interpreti dei tre ruoli principali (e del carceriere) rispetto a quelli della prima recensita da Federica Faldetta.
Il denso orchestrale non spaventa Chiara Isotton che, forte di uno strumento opulento, riesce senza alcuno sforzo a sfondare il muro orchestrale che l’animoso confronto con Scarpia del secondo atto erige. L’artista innamorata, così poco diva ma temperamentosa e pronta al sacrificio per Amor del suo Mario, irrompe con veemenza fasciata di seta verde in Sant’Andrea della Valle annunciata dal triplo Mario! fuori scena. L’interprete è tecnicamente impeccabile e possiede la giusta intensità ma il personaggio è sicuramente perfettibile. Manca la disperazione controllata ma palpabile che traspare in frasi quali Ed io venivo a lui tutta gioiosa, ma il soprano è dotato di grande musicalità che la sorregge lungo tutto l’arco temporale della vicenda. Esibisce inoltre fiati lunghissimi oltre a coprire come richiesto le due ottave con dinamiche variegate a seconda della situazione e delle improvvise accensioni della scrittura vocale. Splendida nella cantata fuori scena del secondo atto, in bella sinergia con l’ottimo coro preparato da Ciro Visco, affronta l’aria con la giusta introspezione dolorosa. Le premesse ci sono tutte perché, con l’ulteriore frequentazione del ruolo, sia in futuro una Tosca completa.
Il fulcro dell’opera resta però il perfido Scarpia, personaggio la cui doppiezza rappresenta una sfida per tutti i baritoni. Qui Roberto Frontali riesce nell’impresa di separare nettamente le due facce del potente capo della polizia papalina. La dimensione pubblica, altera e controllata al cospetto dei suoi uomini ma allo stesso tempo terrorizzante nei confronti dei deboli (vedasi il Sagrestano), si stempera nel sadismo mellifluo legato alla bramosia verso Tosca. Nel privato però dà libero sfogo alle pulsioni più selvagge con il suo canto ben strutturato e nell’incalzante progressione verso la condanna di Mario. Non potendo disporre di un volume torrenziale, Frontali sceglie di sottolineare l’aridità d’animo del barone siciliano la cui perversione si fa gelida in versi quali Tal dei profondi amori è la profonda miseria, in questo ben assecondato dal podio.
Ha gioco facile nel faccia a faccia con Cavaradossi, Francesco Pio Galasso, che dal canto suo non può contare su un timbro prezioso né su un passaggio immacolato. L’aria di sortita si presenta infatti con una salita all’acuto estremamente faticosa e si chiude con una pausa, per la verità colpevolmente allungata da Galli oltre che non scritta da Puccini, che trascorre nell’attesa di un sia pur timido applauso mai arrivato. Onore al tenore che non si scompone e prosegue nel canto di conversazione riscattandosi in parte con i due Vittoria del secondo atto e con E lucevan le stelle di buona fattura.
L’insieme delle parti di fianco mette poi in luce la buona pasta vocale di Gabriele Sagona, Angelotti, il misurato Sagrestano di Matteo Peirone e l’aguzzo Spoletta di Massimiliano Chiarolla, a corollario di una Tosca per la quale si poteva e doveva osare di più.
La recensione si riferisce alla recita del 4 Maggio 2022.
Caterina De Simone