Floria Tosca | Anna Pirozzi |
Mario Cavaradossi | Fabio Sartori |
Scarpia | Amartuvshin Enkhbat |
Angelotti | Gabriele Sagona |
Il sagrestano | Matteo Peirone |
Spoletta | Massimo Chiarolla |
Sciarrone | Italo Proferisce |
Un carceriere | Alessio Gatto Goldstein |
Un pastore | Anna Costa |
Direttore | Valerio Galli |
Regia | Mario Pontiggia |
Scene e costumi | Francesco Zito |
Luci | Bruno Ciulli |
Maestro del coro | Ciro Visco |
Maestro del coro voci bianche | Salvatore Punturo |
Orchestra, Coro e Coro di voci bianche del Teatro Massimo | |
Allestimento del Teatro Massimo |
Grande consenso per la prima di Tosca, andata in scena al Teatro Massimo di Palermo, che recupera un meraviglioso allestimento già noto al pubblico siciliano. Tutto il cast ha dato prova di essere all’altezza del celeberrimo titolo pucciniano, sia per quanto riguarda i ruoli principali, quanto per quelli minori. Indubbiamente primeggia su tutti l’ottima interpretazione del barone Scarpia di Amartuvshin Enkhbat: la sua performance si è rivelata un crescendo di tensione e di bravura. Se fin dal suo ingresso in scena, nel corso del primo atto, è stato convincente come espressione del potere papale, mettendosi immediatamente in risalto per bellezza di timbro e accuratezza nella dizione, ha proseguito verso lo spettacolare finale dell’atto (“Tre sbirri… una carrozza…”) delineando sempre con maggiore precisione il mefistofelico personaggio; è il secondo atto però che ne mette in luce ancor di più le qualità attoriali e vocali: con una gestualità accennata ma eloquente, accompagnata da un’estrema abilità nella gestione del suo strumento vocale, il baritono si trasforma nell’incarnazione del male, il bigotto satiro, perverso e assetato di potere che escogita il suo diabolico trucco. Come Enkhbat, anche la coppia dei due artisti innamorati ha riscosso notevole successo tra il pubblico che ha chiesto (e ottenuto) il bis di “Vissi d’arte” e di “E lucevan le stelle”. Anna Pirozzi affronta bene il difficile ruolo: se talvolta le scappa qualche gesto artefatto nel raffigurare la cantante dall’irragionevole ed eccessiva gelosia, è però impeccabile nei momenti di maggiore enfasi. È, infatti, nel terzo atto che l’interpretazione della passionale amante divenuta un’assassina trova totale corrispondenza nella gestione del suono: il suo temperamento, che si presta bene agli accenti più drammatici, come nel famoso (e perfettamente squillante) Do che riproduce la lama con cui Tosca trafigge Scarpia, o nella frase che suggella l’opera (“O Scarpia, avanti a Dio!”) aveva già fatto sì che, proprio qui a Palermo, qualche anno fa, la Pirozzi fosse una Lady Macbeth degna di nota. A completare la figura ammaliante della cantante intervengono gli incantevoli costumi di Francesco Zito che dipingono la diva, la prima donna per eccellenza, quale è Tosca. La raffinatezza dell’abito blu notte con cui la protagonista si getta, in maniera molto convincente, dal bastione di Castel Sant’Angelo, è in linea con l’estrema eleganza della mise amaranto (illuminata da un diadema splendente) utilizzata dalla protagonista per esibirsi davanti alla regina nel secondo atto; una pennellata di colore è invece il verde acqua che indossa quando raggiunge l’amato Mario nel primo atto, ancora ignara della tragedia che sta per compiersi. Analogo plauso ha riscosso l’esibizione di Fabio Sartori, un Cavaradossi ammirevole per la dizione limpida, oltre che per un’estrema facilità nel registro acuto. Purtroppo si sente la mancanza della vena erotica che pervade il pittore: il sentimento totalizzante, tenero e passionale che il tenore prova nei confronti della cantante viene messo in ombra per lasciare spazio a un carattere piuttosto battagliero. Sebbene Sartori cerchi di giocare con frasi che finiscono in pianissimo (soprattutto in “Recondita armonia” e nel duetto con Tosca del primo atto) in linea di massima l’emissione manca di morbidezza. Va lodata però la resistenza fisica che lo conduce fino alla fine dell’opera in ottima forma, senza mostrare alcun segno di stanchezza, anche dopo il bis della seconda aria.
Accanto ai tre personaggi principali, si distinguono Gabriele Sagona (Angelotti), che delinea con facilità il carattere del rivoluzionario ribelle e il sagrestano di Matteo Peirone che con fare baldanzoso inserisce l’elemento buffo all’interno del primo atto; anche Massimiliano Chiarolla (Spoletta), Italo Proferisce (Sciarrone), Alessio Gatto Goldstein (carceriere) e Anna Costa (pastore) si rivelano all’altezza del resto del cast.
La riuscita della messa in scena e la calorosa accoglienza ricevuta dal pubblico è stata favorita dalla bellezza delle scene di Francesco Zito e della regia di Mario Pontiggia: un incantevole connubio che rappresenta con ossequioso rispetto quanto indicato sul libretto. Le scene riproducono con dovizia di particolari i tre ambienti in cui Illica e Giacosa hanno collocato il dramma e catapultano lo spettatore nella Roma papale del 1800. Nel primo atto sul palcoscenico domina la cupola di Sant’Andrea della Valle, simbolo del clima di oppressione generata dalla Chiesa, con un interessante gioco di prospettiva che viene riproposto anche nel secondo atto, creando, all’interno di palazzo Farnese una sensazione di profondità che si estende dal palcoscenico verso il retropalco; la stanza di Scarpia, simbolo del potere governativo, è riccamente decorata, ma cela, dietro affreschi e oggetti artistici, la cattiveria delle torture che infliggono a Cavaradossi nella stanza accanto. Se le scenografie dei primi due atti affascinano per l’assoluta fedeltà ai luoghi reali, l’atmosfera romana ricreata nel terzo atto è ammaliante: una terrazza di Castel Sant’Angelo dominata da uno stemma papale si affaccia su un panorama della città eterna all’alba. La perfetta coincidenza con le indicazioni riportate sul libretto non rende la messa in scena obsoleta: la regia accurata di Pontiggia lascia che la tragedia scivoli vorticosamente verso il disastro finale, rispettando del resto quelle che erano le intenzioni dei librettisti e di Puccini. Il tessuto musicale stesso infatti è continuo, non ha episodi: questo incessante scorrere del flusso sonoro è reso con precisione da Valerio Galli che mostra, fin dalla prima esposizione della cellula composta dai tre accordi che aprono il primo atto e che si ripeteranno nel corso dell’opera ogni volta in cui si percepisce quel clima di inquietudine e terrore che accompagna la presenza di Scarpia, che opta per una direzione più lenta rispetto ad altre chiavi di lettura che lasciano più spazio a impeto ed incisività. In questa maniera il direttore riesce a far emergere le costruzioni armoniche della partitura, senza comunque distogliere l’attenzione dal fraseggio e, allo stesso tempo, guida attentamente i solisti, l’Orchestra del Teatro Massimo, il Coro del Teatro Massimo, diretto da Ciro Visco, che si conferma di buon livello, e il Coro di voci bianche, preparato da Salvatore Punturo, impeccabile nella sua performance e delizioso nella tumultuosa scena della cantoria.
La recensione si rifierisce alla prima del 29 aprile 2022.
Federica Faldetta