Violetta Valery | Pretty Yende |
Flora Bervoix | Lorrie Garcia |
Annina | Daniela Mazzuccato |
Alfredo Germont | Francesco Demuro |
Giorgio Germont | Gabriele Viviani |
Gastone | Marco Miglietta |
Il barone Douphol | Enrico Marabelli |
Il marchese d’Obigny | Pietro Di Bianco |
Il dottor Grenvil | Alessandro Spina |
Giuseppe | Michele Maddaloni |
Domestico di Flora | Giacomo Mercaldo |
Un commissionario | Alessandro Lerro |
Direttore | Francesco Ivan Ciampa |
Regia | Ferzan Özpetek |
Scene | Dante Ferretti |
Costumi | Alessandro Lai |
Luci | Giuseppe Di Iorio |
Maestro del Coro | José Luis Basso |
Orchestra, Coro e Balletto del Teatro di San Carlo | |
Produzione del Teatro di San Carlo |
L’ormai tradizionale appuntamento del San Carlo con La traviata quest’anno ha visto la ripresa di un vecchio allestimento firmato da Ferzan Özpetek, nato proprio qui a Napoli quando il capolavoro di Giuseppe Verdi aprì la stagione 2012-2013 e che venne già ripreso una volta nel 2015.
Motivo di curiosità era anche il debutto in teatro da protagonista di un’opera di Pretty Yende, soprano in continua ascesa che finora aveva calcato le tavole del San Carlo solo in occasione di due recital.
Al chiudersi del sipario per la cantante rimasta sola al proscenio è partita un’ovazione che sembrava interminabile, con una parte del pubblico in piedi, e in effetti si veniva dal terzo atto, quello dove il giovane soprano ha dato il meglio di sé. La voce non è enorme, anzi per le dimensioni del San Carlo il volume è parso limitato, e al primo atto la cantante ha fatto il suo dovere senza danni ma anche senza troppi meriti, con una certa fredda correttezza. Già nel lungo duetto con Germont padre però gli accenti si sono fatti più introspettivi, anche se ancora nell'interprete mancava quella grande personalità che rende padrona del ruolo. Nel terzo atto però abbiamo ritrovato un fraseggio inquieto, screziature, una varietà di colori che le hanno permesso un Addio del passato fra i più belli sentiti negli ultimi anni, differenziando anche bene l'espressività fra la prima esposizione e la ripresa. Nel complesso si ha l’impressione che se fosse stata più motivata da regia e direzione, la Yende avrebbe potuto dare ancora di più.
Francesco Demuro è tornato al San Carlo dopo la memorabile Sonnambula dello scorso febbraio. La sua voce è sonora, il timbro chiaro, con morbidezze e sfumature messe in luce soprattutto nel terzo atto. Peccato che nel resto dell’opera il tenore ci abbia reso un Alfredo spinto su un veemente fisso, dove la spavalderia ha vinto sull’abbandono e che spesso lo ha portato a indurire i toni.
Gabriele Viviani canta bene ed è sicuro di sé, ma ha reso Giorgio Germont in modo monolitico, rigido e severo anche quando i versi e la situazione suggerivano una maggiore morbidezza di toni.
Avere Daniela Mazzuccato nel cast è stato un lusso: nelle sue poche frasi, ma anche solo con la comunicatività della sua presenza scenica, un’artista del suo calibro ha illuminato l’umanità della buona Annina. Bravo Enrico Marabelli, un Barone Douphol, preciso nel canto e con vivace presenza scenica (l'unico a cui il regista abbia imposto una certa reazione quando Alfredo oltraggia Violetta al finale secondo).
Lorrie Garcia, intervenuta all’ultimo momento al posto dell’indisposta Valeria Girardello, ha dato a Flora verve e spirito con una vocalità dai toni particolarmente caldi.
Ben distribuite anche la altre parti: dal Dottore di Alessandro Spina, al Gastone diEnrico Maglietta, il Marchese d’Obigny di Pietro Di Bianco, e poi Michele Maddaloni, Giacomo Mercaldo e Alessandro Lerro, tutti artisti del Coro del San Carlo e qui impegnati rispettivamente come Giuseppe, il Domestico di Flora e il Commissionario.
E a questo proposito, la compagine corale, compatta e precisa ha offerto un’ottima prova sempre sotto la guida di Josè Luis Basso, stavolta presente anche in scena.
Con Francesco Ivan Ciampa sul podio l’Orchestra del San Carlo ha confermato di essere una compagine sicura di sé, senza sbavature o imprecisioni. La direzione stessa però è parsa corretta ma estranea al dramma, senza un vero respiro teatrale, con improvvise accelerazioni, e talvolta volumi spinti al punto da coprire le voci, troppo rilievo agli ottoni e scansoni ritmiche preponderanti (basta citare la chiusura della cabaletta di Alfredo).
Dopo vari anni dispiace di avere trovato l’allestimento firmato da Ferzan Özpetek così stanco, incapace di coinvolgere e commuovere. Sembra strano che, riprendendo questa Traviata, un regista come lui, che nei film è maestro di introspezione e che sa dare luce anche ai caratteri secondari, abbia dato vita a uno spettacolo di assoluta staticità e piattezza recitativa. Le interazioni fra i personaggi sono ridotte al minimo per non parlare del coro costretto all'immobilità come tante statue. I pochi interventi registici sembravano annullare in partenza qualunque possibile climax drammatico. Esempio paradigmatico la scena finale del secondo atto, dove tutto era giocato in anticipo: sia gli ospiti che Germont padre entrano in scena nel bel mezzo delle escandescenze di Alfredo, e pare assurdo che stiano lì a guardare immobili, e Alfredo stesso inizia a lanciare le banconote su una Violetta riversa sul pavimento con molto anticipo rispetto all’invettiva finale.
In quest’ottica anche le scene di Dante Ferretti (che acquistano carattere dal gioco luci di Giuseppe di Iorio) e i costumi di Alessandro Lai restano piacevoli ma perdono quel valore che veniva loro dall’inserirsi in un discorso registico determinato.
Teatro gremito ma non esaurito: strano per una Traviata, ma c’è poco da fare, alle nostre latitudini il teatro a luglio e agosto stenta ad entrare nelle abitudini del pubblico. E comunque ovazione come detto per la protagonista emozionata e felice, applausi per tutti, successo incontestabile.
La recensione si riferisce alla rappresentazione del 29 luglio 2022.
Bruno Tredicine