Sir John Falstaff | Misha Kiria |
Ford | Orhan Yildiz |
Fenton | Sehoon Moon |
Dottor Cajus | Niklas Björling Rygert |
Bardolfo | Jonas Duran |
Pistola | Nils Gustén |
Mrs Alice Ford | Jacquelyn Wagner |
Nannetta | Alexandra Flood |
Mrs Quickly | Maria Streijffert |
Mrs Meg Page | Matilda Paulsson |
Direttore | Steven Sloane |
Regia | Lotte de Beer |
Scene e costumi | Christof Hetzer |
Coreagrafie | Gail Skrela Hetzer |
Luci | Alex Brok |
Videodesign | Charlotte Rodenstedt e Bloody Honey |
Consulente drammaturgia | Peter te Nuyl |
Coro e Orchestra dell’Opera di Malmö |
L’anno del covid ha una natura strana: da una parte è l’epicentro di una crisi gravissima (non solo di tipo sanitario), dall’altra è un continuo stimolo a superare i limiti imposti da una situazione d’emergenza come non ne abbiamo mai conosciute negli ultimi decenni. Non è un segreto che il teatro sia - fisiologicamente - uno dei soggetti più colpiti, ma chi ha le possibilità unite a una buona dose di intraprendenza può trovare delle soluzioni valide non solo per la situazione attuale ma anche per il futuro, integrando lo spettacolo dal vivo con le mediazioni tecnologiche attuali. Quest’anno l’Opera di Malmö ha spalancato le porte a internet ed è divenuto uno dei primi teatri in cui viene trasmesso in streaming ogni singolo evento del cartellone, cosicché il titolo d’apertura della stagione 2020/2021 - il Falstaff di Verdi - oltre alle cinquanta persone presenti in sala ha accolto una platea internazionale con un semplice click.
L’aspetto veramente interessante di questo specifico caso è che la tecnologia, il digitale e internet non sono soltanto il medium che consente la fruizione della rappresentazione, ma fanno parte integrante della rappresentazione stessa e della narrazione. Il tempo è il presente e la scena è uno studio televisivo che sprizza USA da ogni poro, dall’impostazione generale alla David Letterman alla confezione di Kentucky Fried Chicken (con l’inconfondibile volto del Colonnello Sanders); le «due lettere infuocate» vengono sostituite dalle e-mail di Outlook e l’incontro tra le quattro comari di Windsor avviene in diretta su Zoom. Lo stesso Sir John Falstaff “non è più quello di una volta”: ci viene mostrato in giacca e cravatta e con una discutibile - si fa per dire - chioma tinta di biondo nel più puro stile Trump. Magari non si voleva fare un riferimento esplicito al presidente uscente, ma tra l’abbigliamento, l’acconciatura, la citazione en passant della «Falstaff Corp.» e soprattutto la videata di un notiziario dove si commentano le esternazioni del cavaliere in modo molto simile a quanto ha fatto la CNN pochi giorni fa con l’attuale presidente degli Stati Uniti, la sensazione di assistere a uno sfottò diretto oltreoceano è molto forte. Peraltro, il giorno della recita è lo stesso in cui Joe Biden viene riconosciuto presidente eletto.
La regia di Lotte de Beer, attualmente direttore artistico del Volksoper Wien, propone un Falstaff a misura covid ma con eleganza ed equilibrio; certo, le scene che per drammaturgia necessitano del contatto fisico risentono del distanziamento, come ogni altra produzione operistica del 2020, ma la de Beer fornisce diversi spunti d’interesse: il comunicare quasi sempre attraverso dei media (una telecamera, il cellulare, Zoom, ecc.), la presenza ossessiva di immagini, alcune delle quali non vorremmo nemmeno vedere ma che siamo costretti a osservare - come Falstaff che spolpa a morsi una coscia di pollo - o che vengono proposte con tanta frequenza e (ricercata) malagrazia da risultare insopportabili e monotone, ad esempio le numerose inquadrature che sbirciano il décolleté delle cantanti. L’ossessività del vedere e dell’apparire è ben supportata dalle scene e dai costumi di Christof Hetzer, che attraverso una piattaforma girevole ci mostra ora il modernissimo studio televisivo che ospita Falstaff, ora gli appartamenti delle comari di Windsor: se siete abituati ai costumi elisabettiani per l’ultimo e definitivo capolavoro verdiano, vedere Meg come una casalinga indaffarata, Alice dedicarsi al fitness e Nannetta in versione goth può causare un primo shock; tuttavia, superata l’impressione iniziale, non si può non riconoscere che il tutto funzioni ottimamente, comprese - grazie al videodesign di Charlotte Rodenstedt e Bloody Honey - le inquadrature effettuate con i mezzi sul palcoscenico, dalle telecamere ai dispositivi portatili. Tutto è calibrato al centimetro, tutto è accuratamente studiato per funzionare tanto sul palco quanto sullo schermo che lo sovrasta e - per estensione - anche su quello da cui si è potuto seguire lo streaming. Anche le riprese effettuate a esclusivo beneficio della trasmissione hanno un ottimo risultato: spesso accade che le inquadrature (specie i primi piani) vadano a incidere negativamente sulla resa, ma in questo allestimento ogni elemento è utilizzato per avere una buona riuscita anche dalla prospettiva delle telecamere.
L’unico punto debole è il passaggio dai primi due atti al terzo. Lo iato trai due gruppi è molto forte: se il primo ha un taglio molto definito, come un unico blocco, pieno di digitale, di telecamere e diavolerie tecnologiche, l’ultimo è tutto dominato dal buio e dalle luci e una nebbia artificiale avvolge una sorta di discarica. Visivamente il terzo atto è assolutamente il migliore, soprattutto grazie allo splendido disegno luci di Alex Brok, ma si ha quasi la sensazione di assistere a un diverso allestimento di Falstaff, che riporta a un tipo di teatro più tradizionale. Piuttosto inutili i riferimenti sessuali: d’accordo, stiamo cestinando la tv dei reality e del cattivo gusto imperante, ma ciò che non è necessario può benissimo essere lasciato da parte. Le coreografie di Gail Skrela Hetzer hanno il pregio di essere presenti negli unici momenti in cui era possibile avere delle figure in movimento, quindi non distraggono né infastidiscono, ma si fondono molto bene con la scena e la impreziosiscono ora con sarcasmo, ora ironia.
In questa stigmatizzazione della tv spazzatura, è la bacchetta di Steven Sloane a guidare l’Orchestra dell’Opera di Malmö e il risultato è straordinario: i colori e le raffinatezze dell’ultimo lavoro del Cigno di Busseto ci sono tutti e pure eseguiti con un gusto e un piglio sanguigno assolutamente verdiani. Rimarchevole la precisione dimostrata dall’orchestra in una partitura insidiosa e complessa come questa. Il risultato è un’esecuzione sfolgorante, ma senza eccessi: Sloane è riuscito a rendere in modo eccellente la sonorità cameristica di Falstaff e allo stesso modo ne ha evidenziato i tratti avveniristici proiettati verso il Novecento, facendo risplendere ancora una volta quel prodigioso fuoco d’artificio che è il testamento di Giuseppe Verdi. L’unica accortezza in più che si dovrebbe avere è rivedere alcuni respiri con i solisti, a volte presi troppo di sfuggita e che hanno portato a qualche fastidiosa (ma perdonabile) sbavatura.
Debole il Coro dell’Opera di Malmö, principalmente a causa del doversi presentare a ranghi ridotti.
Il cast dimostra compattezza e una buona interiorizzazione della comica follia di Arrigo Boito e tutti sono ben più che all’altezza della situazione e, in generale, con ottima dizione dell’italiano. Il tenore Niklas Björling Rygert si dimostra un valido Dottor Cajus ma dalla voce un po’ pastosa; bravo Jonas Duran un Bardolfo dal timbro tenorile assai più chiaro e squillante che attorialmente ben si combina con il basso Nils Gustén (Pistola), dimostrando entrambi un’apprezzata vis comica.
Il tenore coreano Sehoon Moon porta sulle tavole della Malmö Opera un Fenton tutt’altro che scontato, caratterizzato da voce limpida e capacità di creare interessanti sfumature. Meno riuscito il Ford di Orhan Yildiz: il baritono georgiano non manca di carattere e di presenza scenica, ma specialmente nel II quadro del II atto risulta forse un po’ troppo freddo.
Il soprano australiano Alexandra Flood è una piacevole sorpresa e, per quanto “alternativa”, la sua Nannetta si avvale di morbidezza e freschezza di timbro sorretti da slancio giovanile; merita di essere ascoltata in ruoli meno marginali. Diverso caso il Maria Streijffert che, armata di quell’impeccabile timbro di contralto, è una Mrs Quickly di spessore e ogni suono è ben appoggiato ed elegante, ma mancano quella malizia e quell’ironia da vecchia comare. Matilda Paulsson, invece, colpisce in pieno il bersaglio con la sua Meg: graffiante, incisiva, ma al contempo distinta e signorile. Il tallone d’Achille è la dizione, davvero troppo dura, che va a sporcare una messa di voce altrimenti di invidiabile pulizia.
Molto attesa l’esibizione della poliedrica Jacquelyn Wagner nel ruolo di Alice e dal risultato al di sopra delle aspettative. La Wagner ha la facoltà di arrivare immediatamente allo spettatore con tutta la sua potenza espressiva assieme a una vocalità affascinante e intonatissima tanto nel forte quanto negli interessanti pianissimi. Misha Kiria è un Falstaff convincente, sia sotto il profilo vocale sia sotto quello attoriale. La sua padronanza del ruolo è ammirevole e la recitazione marcata, a volte caricaturale, ben si sposa con il fraseggio preciso e nitido; in altre parole, Kiria ha mostrato un valido esempio di come debbano (e possano, senza tante storie) coesistere nel melodramma musica e intenzione scenica.
La recensione si riferisce allo streaming della prima del 7 novembre 2020.
Luca Fialdini