Concertatore e pianista | Michele Campanella |
Orchestra della Toscana | |
Wolfgang Amadeus Mozart | |
Concerto n. 21 per pianoforte e orchestra K 467 | |
Ludwig van Beethoven | |
Concerto n. 5 per pianoforte e orchestra op. 73 Imperatore |
Nell'inevitabile pletora beethoveniana autunnale in occasione del 250° anniversario dalla nascita del Maestro di Bonn, l'Orchestra della Toscana affida questa serata comprendente anche (ma non solo) il Concerto n. 5 op. 73 ad uno dei più illustri pianisti italiani la cui carriera si snoda ormai dagli anni '60 del secolo scorso ad oggi, il napoletano verace Michele Campanella. Personalità prorompente e poliedrica, allievo del celebre Vincenzo Vitale, Campanella con un vezzo tutto suo fa mettere in locandina non il pomposo termine di direttore ma quello di concertatore, quasi a rifarsi ad una tradizione lunga di secoli quanto poco in voga oggi, quando molti solisti scalpitano dalla voglia di dire la loro dal podio (con risultati spesso interlocutori) e non solo di “accompagnarsi” qualora siano solisti in questa o quella pagina del repertorio.
Il programma che abbiamo seguito al Teatro Verdi comprendeva anche il mozartiano Concerto n. 21, cosicché il rarefatto pubblico del Teatro Verdi, adeguatamente distanziato secondo le vigenti direttive, ha potuto apprezzare due pagine di straordinaria notorietà e grande bellezza del repertorio per strumento e orchestra.
Mozart scrisse il suo Concerto K 467 negli anni 1784-85 e lo eseguì per la prima volta a Vienna nel marzo 1785. Alter ego del K 466 come giustamente fa notare Gregorio Moppi nelle note di sala (evidenziando anche analogie e differenze tra le due composizioni quasi coeve nonché contigue nel catalogo Köchel), il Concerto n. 21 ha quasi sempre goduto del favore di pubblico ed esecutori, ed è anche conosciuto, lo registriamo per la cronaca, grazie ad un film che ebbe una certa notorietà qualche decennio fa, Elvira Madigan, per il quale il tempo centrale (Andante) opportunamente arrangiato servì da colonna sonora.
Michele Campanella lo affronta all'inizio con un po' di circospezione, ma si distende poi in maniera molto efficace nel secondo movimento, trovando belle sonorità e lasciandosi andare alla straordinaria e serena poesia della pagina mozartiana. Il terzo tempo è scattante e pulito, con archi dell'orchestra molto intensi e fiati pungenti, con una ottimo bilanciamento della parte pianistica con quella orchestrale. Campanella ha ovviamente, come ogni solista che anche dirige, un gesto abbastanza istintivo (verrebbe fatto di dire ruspante) ma piuttosto efficace, e mostra idee abbastanza chiare su cosa chiedere ai suoi colleghi professori.
Da notare che nella prima parte della serata è stato utilizzato lo stesso pianoforte Yamaha della seconda, ma con la meccanica modificata attraverso martelletti differenti, per venire incontro alle esigenze espressive della pagina mozartiana e ai desiderata del solista-concertatore; invece per il Concerto n. 5 beethoveniano il pianoforte aveva la sua meccanica per così dire “normale”.
Dirigere dal pianoforte un concerto come l'Imperatore di Beethoven è assai complesso, ma Campanella ama queste sfide e a conti fatti ne viene a capo con onore, anche se ci è parso di cogliere una qualche preoccupazione per tenere assieme il tutto: l'orchestra ha ovviamente uno spessore diverso che non in Mozart, viene impegnata molto di più e gli equilibri con lo strumento solista vanno ricercati in altra maniera.
Sorprendono la generale incisività molto ben ponderata (solo in qualche momento l'orchestra è parsa un po' troppo invadente), la pienezza di suono nei movimenti estremi, l'intensità e la ricerca di colori nelle pagine di lirismo spiegato (ed in particolare nelle oasi di rarefatta bellezza dell'Adagio un poco mosso) nelle quali il pianista ha meno grattacapi con i colleghi d'orchestra ed è più concentrato sulla sua interpretazione. Forse il terzo movimento è stato un po' meno sorvegliato, ma l'andamento della pagina richiede un po' di sana spavalderia.
Vista la distribuzione dell'Orchestra della Toscana (che si è comportata davvero molto bene) nella parte anteriore della platea del Teatro Verdi, si nota che l'acustica della sala (almeno giudicando dalla nostra poltroncina molto “avanti”) appare abbastanza diversa da come ci era sembrata in un'altra occasione in cui avevamo ascoltato un concerto dal fondo della platea: il suono è globalmente più fuso e gli archi sono perfettamente udibili.
Successo calorosissimo e un bis beethoveniano, lo Scherzo. Allegretto vivace dalla Sonata op. 31 n. 3.
La recensione si riferisce al concerto del 21 ottobre 2020.
Fabio Bardelli