Don Ramiro | Patrick Kabongo |
Dandini | William Hernández |
Don Magnifico | Marco Filppo Romano |
Clorinda | Maria Laura Iacobellis |
Tisbe | Aleksandra Meteleva |
Angelina | Teresa Iervolino |
Alidoro | Matteo D'Apolito |
Direttore | Gianluca Capuano |
Regia | Manu Lalli |
Scene | Roberta Lazzeri |
Costumi | Gianna Poli |
Luci | Vincenzo Apicella |
Riprese da | Valerio Tiberi |
Maestro del Coro | Lorenzo Fratini |
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino |
La stagione operistica autunnale del Teatro del Maggio, che aveva avuto un'anticipazione prestigiosa con il recente concerto di Jessica Pratt all'Auditorium, si è aperta con la ripresa della rossiniana Cenerentola che aveva debuttato all'aperto del cortile degli Ammannati di Palazzo Pitti nel giugno del 2017. L'allestimento di Manu Lalli era già stato adattato per la Sala grande del teatro fiorentino nel novembre dell'anno successivo e in quell'occasione chi scrive recensì lo spettacolo, rimandando per l'analisi della regia anche alle impressioni di Silvano Capecchi dell'anno precedente.
Rispetto ad allora restano le impressioni di un allestimento caratterizzato dal sottolineare il (labile) versante fiabesco del libretto e molto curato nei dettagli, salvo chiedere, nelle strette, agli interpreti uno sforzo di sincronia nei movimenti - quasi equivalenti a vere e proprie coreografie - evidentemente difficili, visto che ognuno va un po' per conto suo, come accadde nelle vecchie recite sopra rammentate. Problema veniale in uno spettacolo che resta gradevole nell'impatto visivo, per merito anche delle piacevoli quanto essenziali scene di Roberta Lazzeri e dei graziosi costumi di Gianna Poli.
Decisamente meno fiabesca la direzione di Gianluca Capuano, che della Cenerentola pare intenzionato ad evidenziare più la ricchezza della scrittura musicale che i connotati di commedia dai toni frizzanti e a tratti decisamente comici. Toni senza dubbio venati da una buona dose di malinconia, che la lettura un po' seriosa di Capuano, che sia o meno per scelta (ma forse no, visto che nei recitativi il fortepiano tenta spiritosamente di riprodurre suoni particolari, come quelli di un messaggio ricevuto sul cellulare), fa emergere in modo abbastanza evidente. È comunque notevole la perizia tecnica della bacchetta, che guida l'ottima Orchestra del Maggio con gesto sicuro e finanche virtuoso nelle vistose accelerazioni dei tempi che spesso fa eseguire, nelle quali il controllo è costante e assoluto, il tutto senza mai perdere l'equilibrio tra buca e palcoscenico.
Cast di livello complessivamente più che discreto, che recupera due interpreti che si erano messi in luce nelle precedenti edizioni, Teresa Iervolino, protagonista nel 2018 nella stessa sala grande, e Marco Filippo Romano, che fu Don Magnifico l'anno prima a Palazzo Pitti. Quest'ultimo replica la formidabile prova di allora, in un ruolo che sembra scritto su misura per lui e di cui conosce - è il caso di dire - ogni accento, più che ogni frase. Impeccabile esecutore, interprete travolgente ma che non esagera mai nel caricare gli accenti, preciso nel sillabato e con dizione talmente nitida da dare l'impressione che stia recitando, anziché cantando: naturale conseguenza di ciò sono gli applausi più caldi della serata.
La Iervolino, quanto meno nelle intenzioni interpretative e nello stile, è altrettanto padrona nel ruolo, a cui presta un elegante fraseggio e una vocalità che conserva il conosciuto velluto e bel colore ambrato nella prima ottava, apparsa però un poco indebolita nella proiezione del suono (la sua prima scena, in particolare, risulta piuttosto cauta) e nel mordente con cui affronta le frasi ascendenti e i passaggi virtuosi.
Patrik Kabongo possiede uno strumento non particolarmente corposo, ma con una capacità di penetrazione sufficiente per consentirgli di delineare un Don Ramiro ben caratterizzato e nel complesso convincente, giovane e nobile quanto è necessario, impersonato con grazia e cantato e sicurezza, con una buona padronanza anche del registro acuto, solo occasionalmente un po' tirato.
Ben tratteggiato anche il Dandini di William Hernández, dal timbro assai chiaro da baritono brillante, spigliato in scena come sua consuetudine, esecutore attento e preciso e interprete dotato di molta verve e gusto, anche se tendente a spianare le agilità nei passi in cui è richiesta la coloratura rapida.
Come Alidoro se la cava dignitosamente Matteo D’Apolito, un po' in affanno nei passaggi acuti della sua - peraltro assai impegnativa - grande aria.
Brillanti e un po' sopra le righe come scrittura e tradizione esigono le due sorellastre. Aleksandra Meteleva (Tisbe) ha un gradevole materiale vocale che si era già fatto apprezzare nel concerto della Pratt. Maria Laura Iacobellis si ritaglia un consistente momento solistico, risolto adeguatamente, grazie alla riapertura del taglio dell'aria di Clorinda nel finale dell'opera. Curiosità musicologica, non c'è dubbio, ma pur sempre brano musicalmente minore, oltre che lungo assai e quindi (visto anche dove è collocato, quasi al termine di un'opera tutt'altro che breve) francamente noiosetto. nonostante l'impegno del soprano.
Impeccabile il contributo del settore maschile del Coro del Maggio diretto da Lorenzo Fratini. Buon successo di pubblico (non proprio numerosissimo) alla prima, con applausi per tutti e molti consensi per Romano.
La recensione si riferisce alla prima del 20 settembre 2024.
Fabrizio Moschini