Floria Tosca | Jennfer Rowley |
Mario Cavaradossi | Gaston Rivero |
Il Barone Scarpia | Dalibor jenis |
Cesare Angelotti | Dongho Kim |
Il sagrestano | Stefano Marchisio |
Spoletta | Massimiliano Chiarolla |
Sciarrone | Domenico Apollonio |
Un carceriere | Giovanni Cappelluti |
Un pastorello | Aurora Stella |
Direttore | Francesco Cilluffo |
Regia, scene e costumi | Hugo de Ana |
Disegno luci | Bruno Ciulli |
Maestro del coro | Marco MEdved |
Maestro del coro di voci bianche | Emanuela Aymone |
Orchestra e Coro del Teatro Petruzzelli | |
Coro di voci bianche "Vox Juvenes" | |
Allestimento scenico della Fondazione Teatro Coomunale di Bologna |
Tosca ha chiuso con grande successo la stagione lirica 2024 del Petruzzelli, di fatto l’ultima con la diretta presenza del sovrintendente Massimo Biscardi, che ha già firmato il cartellone 2025 ma che dal prossimo febbraio lascerà il politeama barese per assumere la presidenza dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia a Roma. Sette recite tutte sold out che confermano quanto il capolavoro di Puccini, che ha inaugurato il Novecento, sia una delle opere più amate anche dal pubblico barese sin dal suo esordio al Petruzzelli nel 1904, dove è poi ritornato tantissime volte, le ultime due nel 2019 e nel 2021.
In questa occasione l’allestimento era quello della Fondazione Teatro Comunale di Bologna del 2022 ed era firmato da Hugo de Ana, autore anche delle scene e dei costumi, con il disegno luci di Valerio Alfieri. Il regista argentino ritornava a Bari dopo aver realizzato due nuove produzioni della stessa Fondazione Petruzzelli: La traviata nel 2018 (riproposta nel 2022) e La bohème nel 2019, replicata esattamente un anno fa. Una regia “classica” negli stilemi ma molto cinematografica nello studio dei gesti e delle espressioni, e ambientata all’epoca dei fatti, ovvero la Roma papalina dei primi dell’800, che non è solo lo sfondo dove i personaggi si muovono, ma ne determina in misura rilevante i loro comportamenti. Un realismo storico che indusse Puccini a concentrare la vicenda in soli sedici ore, a cavallo tra il 17 ed il 18 giugno 1800, seguendo così perfettamente le canoniche regole delle unità di tempo, luogo ed azione.
Un “trionfo” di romanità esaltato dalle immagini tridimensionali proiettate su un telo trasparente - su cui svettava l’imponente mano tridimensionale dell’angelo che sovrasta la fortezza romana, posizionata in ogni atto in modo diverso - e dove scorrevano momenti e movimenti esterni che facevano da raccordo a quanto avveniva in scena. E non sono mancati crocefissi sghembi, statue, scorci di cupole e angeli barocchi, oltre ad alcune riproduzioni pittoriche come il “Noli me tangere” di Correggio e altri capolavori di Caravaggio e Rubens. Molto realistiche le attrezzature sceniche, dai pennelli e dalle ciotole per il quadro del primo atto in chiesa al tavolo sontuosamente imbandito di Scarpia nel secondo atto, ed eleganti e storicamente precisi i costumi.
E se lo spettacolo complessivamente è suggestivo, l’insistenza delle proiezioni e la scelta di fondali neri e luci scure rendono eccessivamente claustrofobico lo spazio scenico, con un effetto incombente e distraente che qualche volta sottrae qualcosa alla stringatezza del dramma. Il lavoro sui personaggi ha trovato i migliori risultati nel ritratto di Scarpia, molto aggressivo ma senza eccessi anche nel rapporto con Floria Tosca, a sua volta particolarmente convincente nel secondo atto, meno invece negli incontri con Cavaradossi, delineati in maniera più convenzionale.
Sul podio dell’ottima e compatta Orchestra del Teatro, la direzione di Francesco Cilluffo non ha mantenuto sempre il giusto equilibrio fra buca e palcoscenico, ma pur con qualche accelerazione o rallentamento del ritmo ha fatto emergere in maniera convincente quella voluttuosa melodia che costituisce la cifra caratteristica di quest’opera. Apprezzabile ma non esaltante la resa vocale del tenore uruguaiano Gaston Rivero, Cavaradossi dal timbro pieno e squillante negli acuti ma in difficoltà nella sua prima aria “Recondita armonia”. Una prestazione in crescendo comunque la sua, con un fraseggio incisivo, non sempre rifinito, e che ha trovato i giusti accenti nell’attesissima romanza “E lucevan le stelle”.
Nella parte del titolo si è cimentata Jennifer Rowley. Il soprano americano, pur con una voce un po’ debole soprattutto nelle note gravi, ha comunque delineato una Floria Tosca convincente grazie alla sensuale pastosità del timbro e al fraseggio sempre pertinente. Qualità che si sono evidenziate anche nella buona esecuzione di “Vissi d’arte”. Uno Scarpia di spessore è stato Dalibor Jenis. Il baritono slovacco, dalla voce chiara e potente ma non sempre pulitissima, con una dizione nitida e un fraseggio espressivo ha delineato un barone di sufficiente protervia e di buona incisività.
Il baritono Stefano Marchisio è stato un ottimo Sagrestano, caricaturale ma sempre misurato. Il basso Dongho Kim e il tenore Massimiliano Chiarolla, nei rispettivi ruoli di Angelotti e di Spoletta, si sono fatti apprezzare per la resa scenica e la vocalità adeguata. Efficaci il basso Domenico Apollonio e il baritono Giovanni Cappelluti nei panni di Sciarrone e del Carceriere.
Ottima, come sempre, la prestazione del Coro del Teatro diretto da Marco Medved, affiancato molto bene dal Coro di voci bianche “Vox Juvenes” preparato con maestria da Emanuela Aymone, compresa la giovane Aurora Stella nel ruolo del Pastorello.
Alla fine applausi calorosi per tutti i protagonisti.
La recensione si riferisce alla serata del 20 dicembre 2024
Eraldo Martucci