Il Conte di Almaviva | Dietrich Fischer-dieskau |
La Contessa di Almaviva | Gundula Janowitz |
Figaro | Hermann Prey |
Susanna | Edith Mathis |
Cherubino | Tatiana Troyanos |
Bartolo | Peter Lagger |
Marcellina | Patricia Johnson |
Basilio | Erwin Wohlfahrt |
Barbarina | Barbara Vogel |
Antonio | Klaus Hirte |
Don Curzio | Martin Vantin |
Due Ragazze | Christa Doll - Margarethe Giehse |
Chor Und Orchester |
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Der |
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Deutschen Oper Berlin |
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Direttore Karl BÖhm |
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Edizione | Dgg 3371-005 (3 Mc) |
Da qualche tempo avevo intenzione di riprendere l’esame di questa edizione che acquistai tantissimi anni fa e che trovai subito bellissima. Inoltre, posso sbagliarmi, ma dei tre capitoli della trilogia Mozart-Da Ponte la migliore fattura è rappresentata a mio avviso da Le Nozze di Figaro: la folle giornata possiede in se una coesione che io stento a trovare nelle vicende di Don Giovanni e in quelle imbastite nel Così fan tutte. Opere che restano capolavori assoluti (e che io non mi sogno, ovviamente, di sminuire) ma che io trovo dispersive nello svolgersi dei vari episodi. Un’edizione - questa che ora ripropongo all’attenzione - che, dicevo, mi piacque moltissimo al primo ascolto, ma che riudita oggi, soprattutto per il confronto con altre anteriori o posteriori, pur continuando a reputarla interessante, ne individuo diverse improprietà. Anzitutto la direzione di Böhm molto buona e pregevole nel suo accompagnamento ma se c’è una cosa che va fatta ascoltare nelle Nozze è la vivacità ritmica in connessione con i cambi repentini di azione. Questo accade soprattutto nel II e III atto. Faccio alcuni esempi: la comparsa ed il racconto di Antonio (e qui Hirte è piuttosto modesto) che denuncia il salto di un uomo non ben identificato dalla finestra, il finale II e il finale III. Tutto è solenne, oratoriale e anche se ciò può attirare al primo ascolto l’impressione globale è quella di un bel concerto tornito in cui voci ed orchestra si sposano non sempre a meraviglia, ma che, in ultima analisi, ci conducono più ad Haydn e alla sua Creazione più che ad una storia, fondamentalmente comica, fatta di gelosie, tradimenti, mascheramenti e congiure. Se si hanno in mente le direzioni di Busch, di Walter, di Krauss, di Kleiber (padre), di Karajan e, su tutte, quella di Solti, l’accusa che si può muovere a Böhm non è tanto quella di lentezza (c’è l’edizione diretta da Klemperer che, in questo, le vince tutte) ma di una gran seriosità e di un’estrema compostezza che, pur giovandosi di tinte aeree, non va molto d’accordo con lo spirito che anima la vicenda e che alla fine… stufa. Manca l’orgia ritmica tipicamente mozartiana e questo lo si sente specialmente dalla seconda metà del II atto in poi. A ciò aggiungerei certa pesantezza in almeno tre punti: il duetto dei pini (III atto) e l’introduzione al IV atto e, sempre in questo atto, l’accompagnamento alla frase di Cherubino «Pian pianino le andrò più presso» e relativo svolgimento. Fra i cantanti l’elemento più vivo e moderno è chiaramente Fischer-Dieskau, il quale canta con il suo solito impegno analitico della frase (e la dizione è molto buona) e la perfetta comprensione del personaggio. La voce ha un timbro particolare, ma è usata per fini espressivi. La vocalizzazione al termine di «Vedrò mentr’io sospiro» non è eccelsa, ma non censurabile. A tratti il tono di questo Conte può dare l’impressione di eccedere, ma è solo perché la Contessa è una Janowitz dalla voce cristallina, ma anche molto ninnolo da salotto. Chiaramente la purezza e la finezza di questa cantante non si discutono: gli attacchi, specie se flautati, sono una meraviglia e questo dona un alto grado di aristocrazia alla sua Madama Rosina. Però ninnolo da salotto rimane e, a volte, la stessa Susanna sembra più adulta (quando si suppone che sia l’inverso). A ciò si aggiunga che la Janowitz non si astiene da mossettine che evocano tratti da soubrette. Inoltre anche nei momenti più concitati (es. il tentativo, nel II atto, di distogliere il marito dall’aprire la porta dove si presume sia Cherubino) le battute di conversazione e i recitativi sono piuttosto artificiosi (basterebbe pensare a quello che segue alla sua iniziale romanza «Porgi amor» che è meravigliosamente cantata). Per finire poi con altro tic che affligge questa Contessa che è quello di procedere in certe frasi a scatto rendendo questo personaggio molto prossimo alla bambola Olimpia. Tutti aspetti che non compaiono - stranamente, perché Susanna è un po’ il personaggio che corre maggiormente questo rischio - nella Mathis che ci offre invece una Susanna molto buona interpretativamente e non meno brava sul piano vocale. La sua dizione è valida ed il personaggio ne guadagna moltissimo. Prey è un Figaro apparentemente molto spiritoso. Tuttavia come cantante non lo metto tra i migliori esecutori di questo ruolo e ciò per la dizione non perfetta e per certa superficialità nella scansione. Manca poi dell’espressività tutta italiana che Pinza prima e poi Tajo e Siepi (e non dimentichiamo Bruscantini !) ci offrivano. Interpretazione che si lascia ascoltare, che si apprezza, ma che non incide. Devo dire questo: nell’edizione in tedesco con Krauss (che ho recentemente recensito) in Kunz si sentiva una profondità di interpretazione nonostante la lingua tedesca che in Prey che canta in un italiano non ineccepibile qui latita. Non parlo solo di dizione, ma di interpretazione. So che esiste un’edizione in tedesco cantata da Prey e mi piacerebbe ascoltarla per fare i debiti confronti. Gli altri cantanti sono apprezzabili o addirittura buoni: la Troyanos è un Cherubino molto passionale e molto sensuale (le sue due arie lo dimostrano, ma anche i diversi interventi al IV atto), ma anche qui la dizione qua e là non è eccelsa. L’esecuzione integrale permette a Marcellina di eseguire la romanza della capretta: la Johnson ce la offre, ma avremmo preferito qualcosa di meglio, specialmente un po’ più scintillante nei virtuosismi. Analogamente il Basilio di Wohlfahrt esegue l’aria del IV atto: la voce è buona, la dizione un po’ meno, ma se non altro non abbiamo artefazioni o versacci. Anche il Curzio di Vantin è valido: non carica, non canta male e ci dà un’idea del personaggio. Un po’ cavernoso è Lagger, ma tutto sommato esegue sia l’aria della Vendetta (I atto) ed il resto in maniera apprezzabile. Hirte è modesto come detto, mentre molto brava è invece la Vogel come Barbarina e la sua aria della spilla ‘solennizzata’ dall’accompagnamento di Böhm è un ascolto che lascia molto soddisfatti. Morale della favola: ritornare su questa esecuzione significa considerarla per quello che è: un’edizione dove i solisti e direttore attirano, ma che prestano il fianco a diversi rilievi. In una frase: «GRADEVOLE EDIZIONE, MA…»
Luca Di Girolamo