Hippolyte | Reinoud van Mechelen | |
Aricie | Elsa Benoit | |
Phèdre | Sylvie Brunet-Grupposo | |
Thésée | Stéphane Degout | |
Oenone | Séraphine Cotrez | |
Neptune/Pluton | Arnaud Richard | |
Diane | Eugénie Lefebvre | |
Pretresse de Diane/Chasseresse/Matelote/Bergère | Lea Desandre | |
Tisiphone | Edwin Fardini | |
Première Parque | Constantin Goubet | |
Duexième Parque | Martial Paullat | |
Troisième Parque | Virgile Ancely | |
Mercure | Guillaume Gutierrez | |
Pirithous | Victor Gkoritsas | |
Le Cerf | Yves Noel-Genod | |
Direttore | Raphael Pichon | |
Regia | Jeanne Candel | |
Scene | Lisa Navarro | |
Costumi | Pauline Kieffer | |
Regia video | Francois Roussillon | |
Coro e orchestra Pygmalion | ||
1 Dvd Naxos 2.110707 | ||
Distribuzione Ducale |
Era già cinquantenne Jean-Philippe Rameau, teorico della musica e compositore per vari strumenti, quando decise di esordire con la sua prima opera: Hippolyte et Aricie, tragedie en musique secondo la codificazione dei generi proposta da Jean Baptiste Lully. Siamo nel 1733 e la prima rappresentazione suscitò scandalo, troppo ardita e sconcertante. Negli anni Rameau la revisionerà più volte, fino all’ultima versione del 1757 che è quella presentata in questo Dvd Naxos, ripresa dal vivo all’Opèra Comique (novembre 2020).
Il soggetto si ispira alla Phèdre di Racine, innamorata del figlio adottivo Hippolyte e speranzosa che il marito Théseé non torni più dagli inferi, in cui è sceso per salvare l’amico Pirithoüs, così da liberarsi di lui e ottenere il regno e il giovante amante. Nei fatti Hippolyte ama invece Aricie, riamato, ma l’affaire non può andare avanti per un veto di Thésée timoroso che l’eventuale progenie di questo connubio possa insidiargli il regno. Molti personaggi hanno una divinità di riferimento, che invocano nelle difficoltà e che appaiono anche in presenza. Per Racine, che seguiva le direttive di Euripide e Seneca, la storia finisce male. Per il librettista di Rameau, l’Abbé Simon-Joseph Pellegrin c’è invece spazio per il lieto fine, con gli amanti che si salvano e vanno a vivere lontano. Nella fattispecie in una località del Lazio che prenderà il nome da uno due innamorati: Ariccia. Questo finale toponomastico nell’opera non c’è, però è curioso.
I cinque atti dell’opera hanno ciascuno un’ambientazione diversa: il tempio di Diana, gli Inferi, il Palazzo di Teseo, la foresta di Diana e un esterno del palazzo. Nella scenografia di Lisa Navarro prevale un grande spazio industriale con scale e montacarichi che sarà un macello nel secondo atto, con il sangue delle bestie uccise che scorre per le scale, e nel quinto una sala vagamente ospedaliera, non è chiaro se operatoria o settoria, con i figuranti vestiti da medici ottocenteschi. I costumi sono atemporali: ispirati a una classicità indefinita per i protagonisti, contemporanei e con allusioni alle divise da lavoro per coro e danzatori. Gli arredi e le suppellettili di scena sono scarni e poveri. Il disegno registico di Jeanne Candel non è del tutto chiaro, a meno di invocare l’atemporalità delle pulsioni umane, ma nella sua essenzialità non prevarica e pertanto non distoglie l’attenzione dalla musica.
Rameau crea un’impalcatura orchestrale di tale statura e varietà che, secondo il giudizio del contemporaneo André Campra, presente alla prima del 1733, potrebbe bastare per dieci opere. La piccola sinfonia che apre il secondo atto è scintillante a contrasto con il mondo degli inferi, mentre gli accompagnamenti ai monologhi, alle arie e ai cori aggiungono spessore teatrale al canto con la loro forza descrittiva ed evocativa di fenomeni naturali o di sentimenti i più disparati. L’orchestra non ha tregua, sempre in prima linea a dettare lo scorrere degli eventi. Raphaël Pichon con i suoi Pygmalion ha più volte dimostrato, e qui conferma, di avere uno straordinario senso del teatro, reggendo le prove più estreme della drammaturgia barocca e sbrogliando i nodi più spinosi con varietà di colori e intenzioni. Hippolyte et Aricie mette alla prova per le continue accelerazioni e rallentamenti della tensione, è un’opera preziosa in cui non si possono perdere colpi, con alcuni parti dell’orchestra sollecitate in continuazione, tra tutti i flauti. Su questo tappeto orchestrale a dir poco lussureggiante si accomoda una compagnia di canto più numerosa di una squadra di calcio, in cui ognuno ha precise responsabilità, pena il crollo del castello sonoro. Il tenore Reinoud van Mechelen nella parte di Hippolyte ha dapprima la freschezza del giovane innamorato, poi il turbamento di chi si scopre pedina di un intrigo con il suo stesso padre da parte della matrigna che lo ama, ma di amore carnale e lo vuole sposare. Interprete sensibile, esprime i vari stati d’animo e le situazioni contrastanti senza mai uscire da una linea di canto composta e aderente allo stile in un ruolo che si basa soprattutto sul canto declamato, duro da rendere senza cadere nella monotonia. Il soprano Elisa Benoit è la sua dolce innamorata, preda degli sfavori o favori degli dei e degli eventi, senza smarrire carattere e personalità. Nel quinto atto è ammirevole nel monologo "Dieux pourquois separez", struggente perorazione agli dei sostenuta dai flauti che evocano la musica incantata cui si riferisce il testo.
Il complesso personaggio di Phèdre è affidato al mezzosoprano Sylvie Brunet-Grupposo, brava cantante e ottima attrice con un’eccellente corda da eroina arcaica squassata da un amore impossibile e dal desiderio di potere. Esprime con personalità e convinzione un personaggio marcato, a tinte forti cui tocca una tirata magistrale, "Cruelle mère des amours", degna dell’eredità tragica raciniana. Théseé, il baritono Stéphane Degout, ha una parte bellissima che culmina nel monologo del quinto atto "Grands Dieux", con l’orchestra che procede per scale ascendenti, oltre a un’aria spettacolare, "Puissant maïtre des flots", che permette a Rameau di inserire una mareggiata orchestrale di prima scelta e all’interprete di esibire pianissimi ricchi di spessore ed espressione. Séraphine Cotrez nel ruolo di Oenone, dama e confidente di Phédre, è un mezzosoprano dal timbro vellutato e profondo, di bello stile e notevole presenza scenica.
Il quartetto degli dei è affidato a Arnaud Richard, basso e pertanto titolare sia di Neptune che di Pluton, Eugénie Lefebvre, Diana e Guillaume Gutierrez Mercurio e di conseguenza controtenore: tutti in parte, tutti con una chiara identità vocale e interpretativa. Lea Desandre ha ben quattro ruoli, in realtà è un trait-d’union portatore di leggerezza destinato a stemperare l’accumulo di tensione. Ha in dote tre arie e un’arietta, una più bella dell’altra, ognuna resa preziosa dalla sua verve e dalle sue comprovate doti vocali. Due dei momenti più alti di questa edizione sono entrambi nel secondo atto, affidati alle tre Parche vestite da impiegati di banca in quanto contabili del destino degli uomini. Sono il controtenore Constantin Goubet, il tenore Martial Paullat e il barirono Virgile Ancely, tutti provenienti dalle fila del coro. Il primo trio "Du Destin le vouloir suprême", a cappella, suscitò ai tempi scandalo e critiche per le enarmonie fuori dai canoni. È talmente bello che crea dipendenza, da mettere in loop per ascoltarlo fino allo sfinimento. Il secondo, "Quelle soudaine horreur", chiude l’atto degli inferi con i tre cantanti che salgono verso l’alto attaccati per i capelli: bel colpo di teatro che accompagna degnamente la musica sublime di Rameau. I tre ragazzi sono eccellenti oltre che fortunati, in tutti pochi minuti di musica, ma di quelli che lasciano un segno profondo.
Il coro Pygmalion è celestiale e indossa con spirito i panni più diversi, compresi i costumi da bagno di lana nel quadro dei marinai e la cuffia di plastica con grembiule, stivaloni e guanti di gomma quando lavano via il sangue dal macello. Insuperabili nel secondo atto quando evocano lo scorrere tumultuoso dello Stige e del Flegetonte.
La regia video è buona, così come la qualità delle immagini e dell’audio. Le note illustrative sono più che essenziali. La presenza dei sottotitoli non compensa la mancanza del libretto, che d’altro canto nei video è ormai quasi sempre mancante.
Daniela Goldoni