Sei uno dei tenori dell'ultimo decennio più assidui sul palcoscenico scaligero. Ti ricordiamo nei panni di Rodolfo nella Luisa Miller, del Duca (Rigoletto) e di Edgardo (Lucia di Lammermoor) ed in ogni occasione hai sempre raccolto dei netti successi personali. In questi giorni sei impegnato nel ruolo di Percy in “Anna Bolena”; raccontaci un po' di questa esperienza e di questo ruolo un po' particolare rispetto a quelli che avevi cantato precedentemente.
La prima opera che ho cantato alla Scala fu la “Luisa Miller”. In quell'occasione feci amicizia con Leo Nucci che proprio nei giorni scorsi ha festeggiato i cinquant'anni di carriera; piccola parentesi: a Vienna l'ho affiancato nella sua recita numero 500 di “Rigoletto”.
Venendo a Bolena: quando mi fu proposto di interpretare il ruolo di Percy andai a guardarmi bene lo spartito e notai che era un ruolo per un tenore in possesso di agilità... del resto il ruolo era stato scritto per Rubini. Poi, approfondendo le mie ricerche, vidi che comunque anche parecchi tenori lirici lo avevano cantato: dai più recenti Meli, Sartori, Raimondi ma anche al più remoto Duprez; tenori tutt'altro che leggeri. Certo una volta si tagliava molto, anche numeri interi e non soltanto qualche battuta, si faceva largo uso del falsettone, il diapason era più basso, le orchestre avevano sonorità diverse. Sono “particolari” che oggi si tengono troppo poco in considerazione.
Nel periodo in cui iniziai a guardare lo spartito, non potevo provare vocalmente la parte perchè stavo cantando cose molto diverse. Iniziai a studiare il ruolo alla fine della scorsa estate: ero a Parigi e cantavo Edgardo nella Lucia di Lammermoor diretta da Frizza. Durante i momenti di pausa fra le prove chiesi proprio al M° Riccardo Frizza se poteva darmi una mano nello studio di Bolena. Dopo avermi sentito cantare la parte il suo commento fu netto: “è un ruolo che potresti fare benissimo”. Da quel momento iniziai a lavorarci seriamente e devo dire che sono soddisfatto del risultato ottenuto.
Alla Scala il pubblico si aspettava, da locandina, l'edizione critica di Fabbri ma a quanto pare è stata eseguita una versione diversa...
In realtà la versione critica di Fabbri non si discosta molto dalla tradizionale: cambia qualche parola ma sostanzialmente non è che sia un'altra opera. Se poi parliamo di integralità dell'opera, sul fatto che vengano fatti dei tagli, facendo la cabaletta una volta piuttosto che due o dei tagli nei concertati: ad esempio l'aria di Percy del terzo atto c'è ma con la cabaletta eseguita una volta. Nonostante i tagli io faccio do a profusione, ne ho anche aggiunti dove non erano scritti, purtuttavia qualcuno, dopo la prima recita, ha scritto che non ho fatto puntature. (ride)
E tra l'altro tu li fai in voce e non in falsettone...
Si certo, come probabilmente hanno fatto tutti i tenori lirici che hanno affrontato questo ruolo prima di me.
C'è da dire una cosa però. Inizialmente questa Anna Bolena doveva essere diretta da Bruno Campanella poi invece è arrivato Ion Marin che ovviamente ha le sue idee e ha imposto i suoi tagli. Certamente ne abbiamo parlato però, in teatro esistono delle gerarchie; ad un certo punto lui ha deciso e noi abbiamo eseguito.
Pensi di aggiungere al tuo repertorio altri ruoli belcantistici dalla tessitura estrema, ad esempio Arturo dei “Puritani”?
Quando iniziai a lavorare con Gabriele Monici, cercò di propormi per il ruolo di Arturo però nessun teatro ebbe il coraggio di affidarmelo. Sicuramente, se ora dovessi affrontarlo, l'approccio sarebbe più o meno quello che avete sentito nell'Anna Bolena: un lirico che canta a voce piena, che cerca i colori, cerca le dolcezze - dove ci sono - ma quando c'è da sfogare un acuto lo fa senza problemi. Il mio approccio sarebbe indubbiamente questo perchè è frutto di dieci anni di intensa ricerca tecnica ed estetica effettuata studiando con Gianni Mastino, il mio insegnante che viene dalla scuola - solo per citarne alcuni - di Arrigo Pola, Giacomo Lauri-Volpi e Giulietta Simionato.
E cosa pensi di altri titoli che necessitano di un tenore con un certo peso che abbia al contempo facilità in acuto? Ad esempio Raul degli Ugonotti, Arnoldo nel Guglielmo Tell...
Si, credo che possano essere una buona idea finché la voce, magari con l'età, non si “sposterà”. Poi magari rimarrà così per tutta la vita e allora ben venga. Ci sarebbero un sacco di ruoli fantastici anche nel repertorio francese e che al momento andrebbero bene per la mia voce.
Comunque tu stai dimostrando una grande flessibilità in termini di repertorio in quanto passi dal Duca di Mantova alla Lucia, ma avendo cantato anche Vespri siciliani e Trovatore. Come fai a mantenere questa flessibilità e non temi che possa essere un po' pericoloso? Qual'è il tuo segreto, il tuo approccio?
L'approccio è assolutamente legato alla tecnica e alla maniera di preparare, di affrontare un ruolo. Nel senso che un po' tutte le voci, se ben supportate dalla tecnica, hanno un determinato range entro cui spostarsi. Ad esempio: per preparare questa Anna Bolena io sono rimasto a casa tutto il mese di febbraio a preparare tecnicamente la respirazione che è lo strumento fondamentale per affrontare questo tipo di tessitura... ma non solo. Tra poco, quando concluderò queste recite alla Scala, andrò a cantare Butterfly che è all'opposto di Bolena; sono i due vertici del mio repertorio: quello più “leggero” e quello più “pesante”. Ed è più facile scendere, cioè ridare spazio e riportare la respirazione per affrontare il fraseggio di Puccini nella Butterfly. Non è semplicissimo, però si può fare. Preparando lo strumento, preparando muscolarmente la respirazione e l'articolazione del gesto del canto.
Del resto non è detto che se un artista canta una volta una determinata opera, questa debba entrare a far parte costantemente del suo repertorio...
Certo! E non è che se canto Trovatore io sia improvvisamente diventato Mario Del Monaco.
Per rimanere a Trovatore: è un titolo che non volevo cantare. Poi durante un'audizione la Sig.ra Cristina Mazzavillani disse che voleva farmi cantare il ruolo di Manrico e quasi fui obbligato a farmi sentire al M° Riccardo Muti. Ricordo lui seduto al pianoforte che mi fece cantare Rigoletto e Traviata. Al termine, dopo avermi ascoltato disse: “lei deve cantare Trovatore”.
Quali sono le opere che senti più congeniali alla tua vocalità?
Sicuramente, anche perchè le ho cantate tante volte, Rigoletto e Lucia di Lammermoor sono i miei cavalli di battaglia. Devo dirti però che quando affronto ruoli nuovi, come al momento Percy, o come qualche tempo fa la Donna serpente cantata a Torino, mi affascina l'idea di cercare nuove arcate, nuove sonorità; i nuovi ruoli mi entusiasmano sempre. Amo moltissimo cantare Arrigo de “I vespri siciliani”, un'opera fantastica. Sarà per la sfida del ruolo complesso e per la presenza di quel briciolo di follia che bisogna avere per fare questo lavoro. Ho cantato per la prima volta i Vespri a Torino con Noseda, dopo un mese li ricantai a Napoli in francese e poi ho ripreso il ruolo in forma di concerto a Madrid diretto dal M° Conlon.
Il Duca di Mantova è un ruolo un po' particolare per come la vedo io, nel senso che lo trovo un ruolo per specialisti. Sono pochi i tenori che sono riusciti a tenerlo in repertorio per tutta la carriera. Uno dei pochi è stato Kraus. Credo sia un'ottima cartina di tornasole per tenere sotto controllo la propria tecnica.
Sono d'accordo con te. Credo fosse proprio Pavarotti che dopo un periodo in cui magari aveva cantato un po' di recite di Tosca e Pagliacci, tornava a casa e si cantava il Rigoletto. Credo di averlo sentito in una sua intervista. Il Rigoletto ti obbliga ad avere una buona verticalità di suono, altrimenti non riesci a risolvere le difficoltà del duetto con il soprano. Non è tanto il “Parmi veder le lagrime” che è abbastanza centrale, quanto il duetto con Gilda che contiene tutto: devi stare in alto legando con estrema dolcezza e controllando la voce al massimo. Il “Parmi” è più centrale, invece nel quartetto c'è da dare con una certa generosità. Il ruolo del Duca è complessivamente una grande scuola di canto.
E per il tuo futuro artistico cosa spereresti ? Hai qualche sogno nel cassetto da realizzare dal punto di vista dei ruoli?
Il mio sogno nel cassetto, sarebbe quello di cantare, magari fra quindici o vent'anni, una Cavalleria Rusticana. È un'opera che adoro. Credo che assieme al Don Carlo ed a qualche cassetta di duetti e arie d'opera, sia stata uno dei miei primi amori. Da ragazzo possedevo la registrazione su cassetta, mettevo l'esecuzione del registratore in loop e l'ascoltavo sino ad addormentarmi.
Come ti sei avvicinato all'opera? Come hai iniziato?
Ho iniziato a 15/16 anni cantavo in un coro polifonico cantando madrigali di Monteverdi, corali di Brahms e lo facevamo con Franca Floris, una maestra molto brava che poi ci portava a fare i concorsi vincendone diversi a livello nazionale ed internazionale, fra cui il Guido d'Arezzo e il Vittorio Veneto. Mentre studiavamo canto gregoriano con Giorgio Righele che veniva a darci lezione.
Ma all'epoca avevi già la passione per l'opera lirica?
No. Però vengo da una città, Nuoro, dove il canto e la coralità sono molto diffuse. Fanno parte della nostra cultura. Basti pensare che in una cittadina di 40.000 persone ci sono quindici o venti cori a voci pari che cantano il folk, tre o quattro corali polifoniche e comunque moltissima attività canora. Il passo successivo avvenne quando la maestra del coro si accorse che comunque avevo qualche qualità e oltre a mettermi in un gruppo ristretto di madrigalisti mi fece incontrare una maestra che aveva riaperto la scuola civica di Nuoro. Quindi iniziai a studiare con Antonietta Chironi ed a 18 anni facevo già parte del Coro dell'Ente Lirico di Cagliari. Cantavo nel coro durante le stagioni estive continuando a studiare durante l'anno. La mia insegnante era molto attiva e ci sapeva fare, tanto che portava a Nuoro parecchi nomi importanti a tenre delle masterclass a cui io partecipavo; ad esempio Gianni Raimondi e Renata Scotto.
Dopo qualche anno nel coro di Cagliari mi sono completamente stancato di cantare, forse perchè avevo iniziato troppo presto e forse un po' causato dalla morte della mia insegnante a cui ero molto legato. Non avevo più voglia di andare nel Coro ed intorno ai 22/23 anni ho lasciato il canto e misi in piedi una rock band dove facevo tutt'altro: suonavamo nei locali, nelle piazze e qualche volta un po' di piano bar. Poi a 27 anni tornai nel coro di Cagliati: chiesi un'audizione - non cantavo opera da quattro anni - cantai “Una furtiva lagrima” e se non ricordo male “Don Pasquale” e mi presero subito. Ricominciai a cantare nel coro, ripresi la passione e andai a vivere a Cagliari.
Dopo ebbi un cambio vocale dovuto probabilmente a questioni ormonali di crescita e maturazione e non riuscivo praticamente più a cantare. Andai da Gianni Mastino e ricominciai a studiare da zero. Prima avevo molta facilità nell'acuto ma avevo una semi-tecnica molto legata all'istinto, alla natura senza possedere una vera conoscenza della respirazione, dell'appoggio e della proiezione. Dopo sei mesi di lezioni con Gianni Mastino feci un'audizione qui a Milano per una compagnia lirica che partiva per una tournée in giro per l'Europa: mi presero e per tre mesi cantai Bohème un giorno si e uno no facendo 800 km al giorno in un furgoncino. Quella fu la mia gavetta: per tre mesi in giro tra Germania, Norvegia e Inghilterra. E non ti dico il misero guadagno. (ride)
Comunque da quando hai iniziato la carriera da solista, nel giro di relativamente poco tempo, direi un decennio, hai avuto dei successi strepitosi in grandi Teatri.
Si, ho vissuto un decennio di grandi soddisfazioni. Canto regolarmente tutti gli anni a Vienna, a Parigi, Torino che è un po' la mia seconda casa ed è il Teatro dove è iniziato tutto grazie a Gregory Kunde. Io ero il suo secondo nel Poliuto a Bergamo e alla prova musicale Gregory era in ritardo per cui dovetti iniziare a cantare al suo posto. Io non lo conoscevo e lui arrivò proprio mentre io cantavo. Durante quelle recite di Poliuto nacque la nostra amicizia. Un giorno mi disse: “guarda che a Torino manca il secondo cast nei Vespri siciliani”; credo che lui abbia scritto al Teatro Regio indicando il mio nome. Feci un'audizione con il M° Noseda e la direzione artistica del Teatro che mi diedero immediatamente il ruolo di Arrigo.
In seguito ai Vespri diretto da Noseda feci l'audizione alla Scala e da lì venne Luisa Miller che diresse sempre Noseda... il resto venne un po' come le ciliege: un'opera tirò l'altra.
Hai già cantato anche in America?
Canterò! Nel 2020 debutterò il ruolo di Rodolfo in Bohème al Metropolitan di New York.
Questa carriera cosa ti è costata in termini di sacrifici?
Si soffre molto all'inizio soprattutto nel distaccarsi da tutto ciò che è la propria quotidianità, la casa, gli amici, la possibilità di chiamare un amico e andare a bere un caffè, mangiare una pizza o più semplicemente vivere il tuo divano, la tua libreria. Ma dopo impari a gestire le emotività, il nervosismo, i tempi vuoti che in realtà sono la cosa più difficile nella gestione di questo lavoro soprattuto quando sei lontano da casa . Adesso è un momento fortunato, io vivo qui a Milano, sto lavorando alla Scala, quindi finisco di lavorare e torno a casa: è una cosa fantastica! Non succede sempre purtroppo.
Non deve essere stato facile lasciare la Sardegna per Milano però.
Un po' l'ho fatto per amore perchè durante la Luisa Miller conobbi Antonella, la mia compagna, quindi è stato abbastanza facile.
Fa parte anche lei dei mondo musicale?
È una danzatrice, attrice e insegna teatro ai bambini.
Nel tempo libero cosa ami fare?
Quando stavo in Sardegna mi piaceva molto andare per mare e pescare. Qua è un po' più complicato però suono la chitarra e possiedo anche una piccola guitar Travel che cerco di portarmi dietro anche in viaggio.
Grazie per la disponibilità.
Grazie a voi e un saluto a tutti i lettori di OperaClick.
Danilo Boaretto