Dopo sei mesi vissuti sostanzialmente all’insegna di Rossini, nell’anno del 150° anniversario della morte, ad eccezione dell’Elisir d’amore cantato a gennaio al Liceu di Barcellona, Paolo Bordogna è ora impegnato in uno dei personaggi maggiormente rappresentativi del genio di Salisburgo: il ruolo protagonista de “Le nozze di Figaro” in scena dal 26 giugno al 6 luglio al Teatro Regio di Torino.
Ma prima di focalizzarci sul tuo Figaro al Regio di Torino, ci piacerebbe che ci raccontassi qualcosa dei tre impegni più significativi che hai avuto in questi primi sei mesi del ’18: Liceu di Barcellona, Bayerische Staatsoper a Monaco e Washington National Opera. Tre teatri importanti in luoghi con culture e storie totalmente diverse; quali differenze ti hanno colpito maggiormente fra queste tre realtà? Mi riferisco al modo di fare opera, lavorare in teatro e viverci.
Direi che per un artista le differenze sostanziali, al di là del ruolo che sta cantando, sono sempre due: uno è il rapporto che si instaura dal punto di vista professionale all'interno del teatro e l'altro è il rapporto inevitabile, col pubblico. Perchè è al pubblico che noi ci rivolgiamo. E devo dire che sono stato fortunato perchè dal punto di vista del modo di lavorare sono stato benissimo in tutti e tre questi teatri, gestiti davvero in maniera esemplare; due di questi, per altro, diretti da donne: una Christina Scheppelmann a Barcellona e l'altra, a Washington, Francesca Zambello... e di loro mi onoro anche di essere amico. Ad esempio con Christina abbiamo in comune la passione per la Vespa: da molti anni lei guida fieramente in giro per Barcellona, una splendida Vespa d'epoca di colore rosso e che io le invidio molto. Tanto è vero che poi, quando sono in giro per il mondo, se vedo una Vespa o un'auto d'epoca, le mando le foto. Ecco, si creano questi rapporti di amicizia splendidi. Ad esempio, poche settimane fa, ero a Washington grazie a Francesca Zambello che mi ha voluto personalmente, e mi ha già invitato per un prossimo impegno con la Washington National Opera che sarà con Mozart, Leporello per la precisione, tra due stagioni. È molto bello lavorare in questi teatri dove tutto viene fatto con grande professionalità.
Per cui, dal punto di vista della professionalità non ci sono differenze sostanziali tra questi tre teatri?
In questi tre teatri, ma devo unire a loro anche il Covent Garden, ho riscontrato un'attenzione altissima alle esigenze di ogni artista; se la prova è prevista per quel giorno e quell'ora, in quel giorno e a quell'ora si fa e non si sgarra! I problemi vengono affrontati con molta calma, se mai ci sono, e con molta professionalità. Si lavora veramente molto bene, sempre con il sorriso, sempre con grande entusiasmo. Sono davvero molto fortunato e felice di avere lavorato e lavorare in questi teatri.
Invece il pubblico è diverso. Ad esempio: il pubblico di Barcellona è rimasto molto silenzioso durante tutta l'opera, attentissimo, dando l'impressione d'essere quasi freddo e compassato; in un'opera tutto sommato gioiosa e divertente come “L'elisir d'amore”. Poi però, al termine, è esploso in ovazioni che, a quel punto, erano inaspettate. Perchè è un pubblico che vive l'opera con sacralità, in un silenzio dettato dalla grande attenzione che veramente ha qualcosa di misterioso. Sulla base della mia esperienza è un comportamento che si può estendere anche agli altri teatri spagnoli.
Invece i tedeschi, pur parlando in questo caso di una produzione storica che conoscono bene come “La Cenerentola” con la regia di Ponnelle, si sono divertiti come pazzi, ridendo e applaudendo a scena aperta; tuttavia, mai come gli americani.
A Washington avevo già cantato “La Cenerentola”, quest'anno invece sono stato impegnato con Bartolo in un “Barbiere di Siviglia”, molto tradizionale, ma su cui Peter Kazaras ha lavorato – era una produzione che veniva dalla Minnesota Opera – rivedendo la recitazione e rendendola più frizzante, fresca, nuova, all'insegna della Commedia dell'Arte. Kazaras è un grande estimatore di Strehler e del suo "Arlecchino servo di due padroni", infatti ha paragonato un po' Figaro ad Arlecchino e quindi anche il mio Bartolo era un po' come Pantalone; molto elegante, sia nell'aspetto che nelle movenze, però comico. Ecco, Kazaras non ha avuto paura di mettere in scena un'opera comica e la gente si è sbellicata dalle risate. E lì a Washington c'è un pubblico eterogeneo che abbraccia tutte le età e tutte le fasce sociali. Inoltre a Washington ho avuto la grande gioia di incontrare: Ruth Bader Ginsburg, la seconda donna nella storia (prima ebrea) ad essere diventata Presidente della Corte Costituzionale statunitense. Una donna che si è battuta in grandi battaglie storiche per l'uguaglianza fra i sessi e le parità... una leggenda vivente. È venuta a vedere Barbiere con sua figlia e ci siamo fermati a chiacchierare perchè voleva conoscere l'unico italiano del cast. È stata per me una grandissima emozione. E poi uscire da teatro e trovare un nugolo di ragazzini che aspettano gli artisti... insomma, un pubblico molto festoso e le nove recite hanno visto sempre il teatro da 2400 posti, completamente esaurito.
Quindi, hai già di fatto risposto alla domanda successiva che sarebbe dovuta essere: quale fra queste tre esperienze ti ha lasciato qualcosa in più? L'entusiasmo con cui hai raccontato il tuo incontro con il Presidente Ginsburg ci è parso piuttosto esplicativo...
Da un punto di vista umano personale, certamente si. Ci siamo incontrati. L'ho salutata e le ho detto: “sono italiano ma la conosco ovviamente molto bene. La ringrazio a nome di tutti per le battaglie che ha saputo combattere e per questo lei è un ispirazione per tutti noi.” Lei non mi aveva riconosciuto ed e stata Francesca Zambello che era accanto a me che è intervenuta dicendole: “lui è il Dottor Bartolo”. A quel punto lei è uscita dal suo ruolo istituzionale, in cui mi stava ringraziando per le mie parole e mi ha detto: “Oh, you are the funniest opera singer I have seen in my life”. Quindi si è lasciata andare e mi ha abbracciato con le guardie del corpo che a momenti mi saltavano addosso. È stata una grande gioia e una grande emozione.
Sei un grande rossiniano. Non sappiamo se hai mai suddiviso le recite che hai cantato nella tua carriera, in percentuali per compositore… ma non crediamo di sbagliarci nel dire che Rossini è di gran lunga quello che hai frequentato maggiormente, probabilmente seguito da Donizetti...
Esatto, non sbagliate! Io non tengo i conti ma c'è chi lo fa per me: mio papà che è il mio fan numero uno e sicuramente conosce i numeri precisi.
Per questa ragione, nel 150° anniversario della morte, ci piacerebbe un tuo commento sul tuo amico Rossini...
Per me Rossini rappresenta un grande senso di libertà!
Rossini è difficile da cantare, forse tra gli autori più complicati dal punto di vista tecnico. Penso che per imparare a cantare Verdi, se si ha la voce che regge certe tessiture e si rispetta quello che Verdi ha scritto, ci si possa arrivare. In realtà: cantanti verdiani si nasce, soprattutto perchè bisogna avere l'intuito per capire cosa voleva quell'uomo. Ma Verdi scriveva tutto quello che voleva in maniera molto precisa.
Invece Rossini impone alla voce - in questa sua scatola complicatissima, quasi barocca per certi versi - d'essere sempre elastica, sempre in grado di salire e scendere in tutta la tessitura; nonostante questo il Cigno di Pesaro mi dà sempre una sensazione di grande libertà. Perchè?
Perchè i suoi ruoli possono non esistere. Vi faccio l'esempio con i ruoli mozartiani che da qualche anno sto affrontando: Mozart per quanto la sua musica sia celestiale, molto più spesso rispetto a Rossini, implica un contatto molto stretto con la realtà. Lo scavo psicologico dei personaggi, è molto più evidente in Mozart come in Verdi, rispetto a Rossini.
Rossini in realtà è molto più etereo, più fantasioso, più leggero. Ad esempio: per quanto la storia di “Semiramide” sia atroce, il suo canto non diventa mai vero. Non parliamo poi delle farse. Quando portammo in scena “La scala di seta” con la regia di Michieletto ambientandola in un loft francese dei giorni nostri, ci stava benissimo; ma proprio perchè Rossini non ti impone una psicologia dei personaggi così rigida. È più fantasioso e utilizza dei cliché che sono: l'amoroso, la sua controparte femminile e il tutore cattivo, che erano tipici della Commedia dell'Arte, dove c'era il canovaccio e gli attori quasi improvvisavano. Se facciamo caso ai famosi autoimprestiti di Rossini: ecco, la magia della libertà di Rossini sta proprio lì; con la stessa musica ed un testo diverso una cosa poteva essere drammatica o diventare seria. Ad esempio, l'ouverture de “Il barbiere di Siviglia” è la stessa di “Aureliano in Palmira” e di “Elisabetta, regina d'Inghilterra”... con piccoli cambi nell'orchestrazione rende un'atmosfera che da una parte è giocosa e dalle altre assume connotati plumbei e delle inflessioni drammatiche. Ecco perchè poi qualcuno, nell'ottocento, - oggi sappiamo che non lo scrisse lui - utilizzò parte del duetto d'ira dell'Otello, per comporre il duettino dei gatti. È incredibile come la stessa musica di Rossini si possa applicare ad un momento estremamente drammatico e ad uno totalmente giocoso. Questo è il senso di libertà che ti dà il teatro rossiniano. Il fatto che io possa fare un Bartolo estremamente buffo ma anche un Bartolo serissimo.
Quindi sei grato a Rossini per questa sensazione di libertà che vivi con la sua musica?
Sono nato con una vocalità che mi ha permesso di cantare Rossini da subito. Va tenuta costantemente allenata perchè è una vocalità che richiede tanta elasticità. Con gli anni il corpo cambia e le agilità vanno tenute allenate; il sillabato va tenuto in allenamento perchè altrimenti perde freschezza e non puoi dargli la stessa velocità. Però sostanzialmente, se dovessi darti una definizione di Rossini: è un autore che mi ha dato sempre un senso di grande libertà di interpretazione, di tante sfaccettature e con possibilità di grande cambiamento da una produzione all'altra.
Veniamo al tuo impegno mozartiano qui al Regio di Torino. Se non andiamo errati hai vestito i panni di Figaro in una sola produzione, un paio di anni fa, a Sidney. Come vedi questo ruolo?
Io ho cantato tante volte il Figaro rossiniano, l'ultima proprio a Sidney: l'anno prima avevo cantato il mio primo Figaro mozartiano, la stagione successiva, circa un anno fa, tornai per quello di Rossini. E qui torniamo al discorso di prima: la differenza è estrema. Per me il Figaro rossiniano è una maschera funzionale alla drammaturgia di un'opera comica che è il Barbiere di Siviglia. Non a caso Rossini scelse di musicare quella parte del testo di Beaumarchais, perchè era molto più nelle sue corde. Mentre Mozart e Da Ponte che erano due illuministi scelsero la seconda giornata, la seconda parte del testo, dove Figaro è molto più uomo e non ha veramente più nulla della maschera del Barbiere rossiniano... anche se Rossini è venuto dopo e questa cosa mi fa sorridere.
Il Figaro mozartiano è una persona che scopre la prepotenza della nobiltà, di una nobiltà che non ha più niente a che fare con quella del passato ma che, anzi, vuole restaurare le peggiori cose della nobiltà del passato. Non è una nobiltà illuminista come quella che ci fu ad esempio a Napoli con i Borboni e, in questo contesto, Figaro è l'uomo nuovo. Questa cosa non c'è ancora nel Barbiere di Siviglia.
Il Figaro mozartiano dà certamente poche possibilità sotto l'aspetto comico, ma dal punto di vista attoriale credo possa concederti maggiori spazi di espressione.
Anche il Figaro rossiniano è un ruolo di mezzo carattere perchè il buffo è Don Bartolo e a volte Basilio; ne “Le nozze” Figaro è un ruolo che di buffo non ha assolutamente nulla. Risulta quasi più buffo il Conte perchè è stolto e perchè scopre le sue carte. Ci sono momenti in cui il Conte si copre di ridicolo suo malgrado... ma non è buffo. Ci sono degli aspetti buffi che possono essere equivoci ad esempio in Cherubino; degli elementi di comicità ci sono nel Giardiniere.
Quindi il ruolo di Figaro nelle Nozze è per te un'opportunità per dimostrare che non sei soltanto un grande buffo...
Beh, oggi è così, hai ragione e dobbiamo raccontarla in questo modo, ma trenta, quarant'anni fa era una cosa normale; Capecchi cantava un Bartolo straordinario nel Barbiere ma cantava anche Jago nell'Otello verdiano e nessuno si sognava di dire a Capecchi: “siccome hai fatto questo non puoi fare quello”. Bruscantini potrebbe essere un altro esempio meraviglioso.
Ma vorrei raccontare l'esperienza del mio debutto nei panni del Figaro mozartiano a Sidney con la regia di David McVicar, che mise in scena quest'opera con i più grandi mozartiani del mondo: durante le prime prove lavorando sui recitativi, lui mi guarda e mi dice: “che piacere sentire cantare in un bell'italiano”. Allora la nostra centralità italiana in certi ruoli dobbiamo difenderla. E spesso noi guardiamo all'estero con la bava alla bocca, come se all'estero fosse tutto oro colato, e in Italia non avessimo persone in grado di farlo. Qui ad esempio, il Regio di Torino ha messo insieme una compagnia praticamente tutta italiana e per me davvero meravigliosa.
Come ti trovi con questa produzione? Cosa ci puoi anticipare?
Molto bene. Abbiamo lavorato con la regista Elena Barbalich che ha rivisto la sua regia e l'ha riadattata a noi ai nuovi interpreti impegnati in questa occasione. Abbiamo lavorato con lei proponendole le nostre interpretazioni e lei ci ha guidato molto bene e ha rivisitato l'impostazione di questo spettacolo, tenendo conto delle nostre personalità e, nello specifico della mia personalità, il Figaro che gli ho proposto. Per esempio, una cosa di cui sono molto convinto è la scena del cosiddetto riconoscimento, il sestetto, dove Figaro scopre di essere figlio di Marcellina e Bartolo. Nonostante alcune cose sembrano scritte per far ridere, da quando la studiai, quattro o cinque anni fa, ho sempre fatto di tutto perchè questo momento non fosse un momento comico. Io sono convinto che sia un momento di enorme shock, di grande emozione, di empatia, di sconvolgimento... è un momento stupendo che per altro era anche il più amato da Mozart stesso, come ebbe a dirlo in un suo scritto. Drammaturgicamente ho solo un problema che ho aggiustato; quando Marcellina dice: “Oh Dio, è desso” e Figaro risponde: “È ver son io”, sia per come è scritta, per le note e la tessitura, viene comodo fare la battuta. Quel “È ver son io” viene comodo farlo a mo' di battuta. Io invece, con la complicità di una splendida Marcellina che è Manuela Custer, le ho detto “guarda che quella frase, me ne assumo la responsabilità, la farò quasi senza note”. La faccio con la voce rotta dall'emozione, dalla commozione che vuole sottintendere: “tu che volevi sposarmi per un presunto debito di gioco, ora mi stai dicendo che sai chi sono io? “. Ecco, al termine di quel momento lì, durante le prove, ci siamo girati verso i maestri di palcoscenico: più di uno aveva colto quel momento e aveva le lacrime agli occhi. Poi magari il pubblico riderà lo stesso perchè da lontano certe cose si percepiscono meno, però ritengo che fatto così sia molto più vero. Altrimenti non si spiegherebbe la rapidità drammaturgica con cui tutto cambia. E guarda caso, da quel momento, Figaro davvero alzerà la testa nei confronti del Conte e gli risponderà in faccia senza aver più paura di difendere la sua genìa, la sua futura moglie e senza avere più paura di dover travalicare il limite da servo a uomo libero.
Beh, mi pare di capire che in questo ruolo ci stai mettendo tanta passione, tanto amore. È indubbiamente un personaggio che ti piace molto... lo si percepisce dall'entusiasmo con cui ce lo racconti.
È vero, mi piace molto. Mi dà delle emozioni incredibili
In un intervallo di queste prove torinesi sei volato a Vienna per un impegno con Florez ed altri grandi artisti...
È stata una cosa molto bella. L'evento intitolato “Juan Diego Florez and friends” è servito per aiutare la fondazione creata da Juan Diego parecchi anni fa e che si chiama “Sinfonia por el Perù“. Una fondazione che sta facendo un po' quello che ha fatto Abreu, e sta togliendo dalla strada tantissimi bambini, li aiuta a studiare e gli insegna a suonare uno strumento insieme in un'orchestra. Allo scopo di raccogliere denaro per questa fondazione, lo scorso 16 giugno, abbiamo cantato “Un viaggio a Reims” in forma semiscenica trasmessa in diretta dalla televisione austriaca. La serata è stata un grande successo, io ho fatto il “mio” barone Trombonok e devo dire che mi sono divertito molto.
Quanti anni di carriera festeggi quest’anno?
Credo siano ventuno...
Una carriera prestigiosa e ricca di soddisfazioni; dopo ventun'anni se ti chiedessi di fare un consuntivo sarebbe positivo? Nel bene e nel male quali sono i momenti che ti tornano in mente?
Guarda, tra i momenti più belli ricordo, anche se non è un teatro prestigioso fa niente... per fare il figo potrei dire “L'elisir d'amore” al Covent Garden di Londra, invece mi vengono in mente “Le convenienze e inconvenienze teatrali” del 2009 al Teatro della Fortuna a Fano messe in scena con quattro soldi ma a mio parere con un risultato strepitoso. Poi per me è stato molto significativo l'incontro con McVicar , per tutti i ruoli che sto facendo negli ultimi anni. Lui mi ha veramente insegnato Mozart. Anche l'incontro con Daniele Abbado è stato importante: con lui ho parlato a lungo di Mozart, Da Ponte, Diderot. Ecco questi sono Maestri che mi hanno stimolato e che mi hanno fatto crescere.
Delusioni?
Non sono uno che ricorda le cose negative, probabilmente le rimuovo. È un brutto difetto perchè poi a volte bisognerebbe essere più duri con chi ti ha fatto del male. Ma alla fine sai, non m'interessa. Più passano gli anni più mi rendo conto che la cosa per me più importante sono i pochi amici che ho e la famiglia. Un po' perchè la lontananza diventa sempre più faticosa da sopportare.
Alle cattiverie ci passo sopra e poi, se anche ci sono state delle sfide da vincere, dove magari ho sentito dire: “ah quella roba qui, insomma, la farà però... “, la soddisfazione è di vedere che poi non parlano più o magari ti sorridono imbarazzati. Però sai, ormai a quelle cose non ci faccio più caso... non hanno alcun senso. Se dai importanza alla cattiveria degli altri vuol dire che sarai sempre nelle loro mani. Dipenderai sempre dal parere degli altri.
C'è stato un periodo della mia vita in cui ho letto tutte le critiche che mi riguardavano. Poi ho iniziato a soffrirne perchè a volte la critica negativa c'era. Nel tempo ho iniziato iniziato a dirmi: “leggiamole ma proviamo a capire perchè scrivono queste cose”; questo diverso approccio mi ha fatto crescere moltissimo. Adesso non le voglio leggere più. Non perchè abbia paura o non ci creda ma perchè sono diventato troppo esigente con me stesso. Negli anni ho imparato e so cosa mi diranno i critici, so dove troveranno qualcosa da dire. Perchè, come tutti gli artisti di esperienza sanno, anche io so di avere le mie lacune. Quando sento alcuni miei colleghi dire: “mi hanno scritto questa cosa e adesso io li denuncio” faccio notare che intanto l'opinione è una cosa che dobbiamo tutti quanti preservare, perchè è un patrimonio di tutti (la famosa libertà di Rossini di cui parlavamo prima... ride) dopodichè, vi siete mai fatti davvero un esame di coscienza? Siete veramente sicuri che se vi guardate allo specchio qualche cosa che non va non la troviate? Se riuscite a farlo da soli avete solo da guadagnarci perchè le critiche degli altri vi faranno meno male.
Tanti anni fa, una grande cantante a cui chiesi cosa bisognava fare per migliorare, mi rispose: “registrati, vai contro i tuoi difetti e, se ne sei capace, distruggili”. Aveva ragione: è l'unica strada.
Tu sei considerato uno dei più grandi buffi della tua generazione, pur essendo questa un'etichetta un po' limitativa. Hai avuto un cantante che ti ha ispirato?
Non c'è un esempio solo, perchè poi appunto, io ho cantato un po' di tutto senza limitarmi. Ho insistito molto nel cercare di mantenere vivi il più possibile i ruoli di mezzo carattere, come Belcore, Dandini, Malatesta e altri. Non ho voluto, perchè ho capito che i tempi sono diversi rispetto a quelli di Bruscantini e Capecchi citati prima, confondere i direttori artistici quando qualcuno mi propose Amonasro, Enrico nella Lucia, Puritani e altri ruoli simili. Non li ho voluti confondere perchè il mercato ha delle esigenze particolari. Io ho avuto un Maestro molto bravo (Roberto Coviello) che mi ha dato una tecnica solida e negli anni ho avuto dei grandi colleghi in teatro che, anche senza proprio chiederglielo personalmente, mi hanno dato la possibilità di mettermi dietro le quinte a spiarli consentendomi di “rubargli” il mestiere. All'inizio per esempio, ho capito molto da Bruno Praticò e poi da Michele Pertusi, dalla Devia. Michele è sempre stato uno con cui ho parlato moltissimo di tecnica.
Pertusi è fantastico dal punto di vista tecnico...
Fantastico e soprattutto capace di una mentalità apertissima tanto da capire le necessità di vocalità diverse a seconda dei ruoli.
Ma per esempio, anche dalla Ricciarelli ho imparato cose importanti: il fraseggio è una bella parola da dire ma bisogna metterlo in pratica; per farmelo capire Katia mi fece ascoltare dei pezzi di canto gregoriano e mi disse: “ascolta come iniziano una frase, come la sviluppano e come la chiudono. Questo è il fraseggio e lo devi applicare a ciò che canti”. Sempre lei mi disse: “ricordati che la pausa deve vivere”. Ed anche Zedda era uno che insisteva molto sulle pause.
A proposito di Zedda: anche lui è stato per me un grande insegnante. Lui che era il detentore della rossinianità, della verità rossiniana, fu quello che in un'occasione mi disse: “no no no, vai su qui, fai un bell'acuto che ce l'hai.” Ed io: “ma Maestro, come... in Rossini...” e lui: “ma qui non siamo al Festival di Pesaro, siamo in Spagna e noi dobbiamo rendere Rossini popolare, perchè ancora c'è bisogno di questo. C'hai un bel re, fallo sentire!”.
Allora, è vero che bisogna studiare da un punto di vista filologico le cose e farle rigorosamente come sono scritte, perchè si cerca la verità, ma è anche vero che siamo sempre degli artisti di fronte ad un pubblico. Adesso Zedda non è più tra noi e sembra che faccia apposta a parlarne ora, ma lui era uno che non amava gli specialisti. Diceva che lo specialismo era la morte dello stile e dell'artista. Diceva che bisogna sapere come si canta Verdi, come si canta Donizetti, come si canta Mozart e come si canta Rossini per dare valore ad ogni autore, altrimenti ci si limita e ci si fossilizza. Ed aveva ragione. Mi ricordo l'anno che si era sentito poco bene, io lo chiamai il giorno dopo e mi rispose dall'ospedale arrabbiatissimo: “caspita devo studiare Stravinskij perchè devo partire per il Giappone e questi mi tengono qui per farmi gli esami del sangue”. Andava a dirigere Stravinsky a 84 anni... un meraviglioso esempio di apertura mentale, di continua voglia di studiare e di fare.
Impegni futuri dopo Le nozze di Figaro a Torino?
A parte una piccola parentesi a Monaco, molto veloce ancora con Le nozze di Figaro, al Münchner Opernfestspiele, volerò a Sidney per festeggiare l'anno rossiniano (che ho già iniziato a festeggiare a Washington) riprendendo Selim nel Turco in Italia, ruolo che poi ricanterò in Spagna nel 2020.
Poi a settembre, prima avrò un recital rossiniano al Teatro Nazionale di Atene, in seguito un filotto di appuntamenti in Germania, con “Nozze” ancora a Monaco, poi Amburgo con “Il Turco in Italia”, “La Cenerentola” a Düsseldorf e infine “Così fan tutte” ancora a Monaco.
E i 150 anni di Rossini in Italia?
In Italia niente... ride
In Italia quest'anno faccio solo ora le “Nozze” a Torino e forse, un'altra cosa di cui non ho ancora certezza. Quindi i 150 anni di Rossini li ho festeggiati a Washington, li festeggerò a Sidney, ad Atene, in Germania ma non in Italia.
Vacanze?
Vacanze poche perchè le oltre 50 recite che potrò contare al termine di questo anno solare sono tante e impegnative. Ma c'è da dire che quando fai una bella italiana come quella che abbiamo fatto ieri qui a Torino con il M° Scapucci, in cui ci siamo divertiti come matti a fare musica ed al termine siamo andati tutti insieme a prenderci un gelato, non si sente nemmeno il bisogno di fare vacanza. Eravamo stanchi, sudati ma felicissimi e contenti.
Cosa fa Paolo Bordogna nel tempo libero? Hai qualche hobby?
Francamente no. Nel senso che nel tempo libero, adesso come adesso, studio. In verità un hobby ce l'avrei e spero di poterlo riprendere in futuro: mi riferisco alla pittura. È una passione che mi piacerebbe riprendere, magari anche un po' meno da autodidatta, andando a studiare da qualcuno. È una cosa che mi piace tantissimo che mi mette a confronto con me stesso, in silenzio e mi rilassa.
Grazie per la splendida chiacchierata e auguri per il tuo futuro.
Grazie a voi!
Danilo Boaretto