Franco Vassallo è senza ombra di dubbio uno dei più interessanti baritoni che si siano distinti sui maggiori palcoscenici internazionali nell’ultimo ventennio. La sua importante carriera si è sviluppata su un repertorio quanto mai vario ed ampio portandolo ad esibirsi dalla Fenice alla ROH, dalla Wiener Staatsoper all’Opèra de Paris, dalla Scala al Metropolitan. Oggi è fra i baritoni verdiani d’eccellenza ed infatti, non a caso, è proprio il complesso ruolo di Don Carlo di Vargas della “Forza del destino” che lo vede in questi giorni, fra i protagonisti dello spettacolo che inaugura la nuova stagione dell’Opera Nazionale di Amsterdam.
Ed è proprio focalizzandoci su quest’ultimo ruolo che vorremmo iniziare la nostra chiacchierata con Franco Vassallo, in quanto abbiamo appreso una cosa molto interessante riguardo le sue origini nobiliari. Se non andiamo errati sei addirittura legato per lignaggio a Fernando VI, re di Spagna esattamente nel periodo in cui viene ambientata “La forza del destino”. Ce ne parleresti?
In realtà bisogna risalire al secolo precedente, al 1685, quando il mio quasi omonimo avo Francesco, Capitano di ventura di origini genovesi, fu infeudato del Marchesato di Brignano nel tortonese da Carlo II d'Asburgo, Re di Spagna e Duca di Milano, in ricompensa dei suoi servigi militari. Al Re di Spagna Fernando VI sono invece connesso in quanto cavaliere membro estero di un'associazione nobiliare spagnola a lui dedicata, molto interessata ai rapporti storici tra i vari paesi, d'Europa e del mondo, facenti parte a quei tempi dello sconfinato Impero Spagnolo (quello sui cui il sole non tramontava mai!), fra cui, in modo precipuo, l'Italia in vaste sue zone.
Curiosamente e simpaticamente Fernando VI regnava durante gli avvenimenti del quarto atto di quest'opera, ambientato nel 1749 nel monastero di Hornachuelos, nei dintorni di Siviglia.
Quindi la storia della tua famiglia e le tue origini ti accompagnano in scena durante queste recite di Forza?
Senz'altro molti stemmi di famiglia e un ritratto di un mio antenato, nel perfetto stile di quell'epoca, potrebbero essere tranquillamente utilizzati come modelli per realizzare dei bozzetti per quest'opera (anche se in questo caso, come spesso oggi avviene, l'ambientazione di questo allestimento è spostata in avanti di 150/200 anni circa)!
Provi sensazioni particolari nel calarti nei panni di Don Carlo di Vargas?
Don Carlo è un personaggio granitico e potente e senz'altro si prova una bella sensazione ad "indossarlo"! È un po' come infilarsi in una robusta e luccicante corazza (soprattutto nei duetti di sfida con Don Alvaro)! Vocalmente è magnificamente tratteggiato da Verdi, con variegatissimi chiaroscuri; elegante, fiero e baldanzoso nel secondo atto, eroico e affettuoso nonché sospettoso e sofferente e infine stentoreo nel terzo atto; statuario, feroce ed implacabile nel quarto.
Occorre una grande tavolozza di colori e sfumature per farlo esprimere con le giuste dinamiche - che alternano repentinamente i pianissimi ai fortissimi – con un legato molto sostenuto ed una colonna vocale omogenea, scura e al contempo svettante, in grado di passare con rapidità dalle note gravi agli acuti e ai centri, che devono suonare poderosi. Un vero, grande, baritono verdiano.
La regia di Christof Loy ti ha dato la possibilità di rendere la necessaria allure a Don Carlo?
Con Christof abbiamo un'intesa molto bella e una collaborazione lunga e intensa alle spalle, iniziata nel 2009 con Lucrezia Borgia a München e proseguita poi con Macbeth, La Straniera, Roberto Devereux (...curiosamente sempre interpretando ruoli di personaggi aristocratici!).
Qui abbiamo lavorato molto sull'intensità dell'ossessione del personaggio. Il ricordo del disonore subìto si riaffaccia di continuo ed è per lui intollerabile. Il dovere cavalleresco gli impone di vendicare il padre ucciso e tutta la sua vita è dedicata e sacrificata a questo scopo da un senso dell'onore cristallizzato e assurto ad ideale; un dogma col quale non è perciò più possibile venire a patti.
Don Carlo di Vargas diventa così un'implacabile macchina di morte, un "terminator", ma proprio in quanto tale, viene per contrasto ad emergere tutta la sua sofferente, intensissima umanità di uomo ferito mortalmente in ciò che ha di più caro: la famiglia e l'onore. E lui stesso è la prima vittima, sacrificato e votato dalla sua propria educazione e dal trauma subìto ad un ideale che diventa estremo e astratto e, di conseguenza, inappellabile.
Verdi è maestro eccelso in questo; non giudica mai nessuno e ci mette di fronte soltanto ai fatti nudi e crudi della vita, le cui implicazioni, spesso fatali, l'essere umano è chiamato a gestire come meglio può. La sua musica commenta invece, nel frattempo e genialmente, ciò che questi eventi producono nel mondo interiore e nella coscienza del personaggio.
Sin dagli inizi della tua carriera, in virtù di una vocalità robusta e sonora, hai saputo alternare ruoli da baritono lirico belcantista a ruoli più drammatici, soprattutto verdiani. Scelte di repertorio che potevano considerarsi pericolose e che invece ti hanno dato ragione. Voltandoti indietro cosa ne pensi?
Penso di aver fatto un bel percorso, graduale, cauto e ponderato, anche grazie ai consigli del mio maestro che viene dalla vecchia scuola. Arriva un momento in cui si è pronti per cantare un ruolo e bisogna farlo; ma ciò non significa che quel ruolo possa già entrare stabilmente nel tuo repertorio. Se ne abusi rischi di bruciarti; se invece per troppa cautela eviti del tutto di cantare quel ruolo, la voce non ti si sviluppa come dovrebbe e non cresci come artista. È una sottile via che si snoda tra coraggio e prudenza.
Guardando avanti e proiettando lo sguardo nel futuro, verso quali ruoli ti piacerebbe sviluppare la carriera?
Verso il repertorio verista del quale ho già interpretato Gerard nell'Andrea Chenier con gran successo alla Staatsoper di Vienna, dopo averlo debuttato al "Festival Giordano" di Baveno (al fianco dell'indimenticata Daniela Dessì e di Fabio Armiliato, sotto la direzione di Bruno Bartoletti); l'anno venturo debutterò Scarpia in Tosca alla Staatsoper di Amburgo e Barnaba nella Gioconda a La Monnaye di Bruxelles. Ma tengo molto a mantenere in repertorio, oltre all'amato Verdi, anche ruoli belcantistici e brillanti di Bellini, Donizetti e Rossini che mantengono la voce fresca ed elastica, opere come 'I puritani', 'Roberto Devereux', 'L'elisir d'amore", 'Il barbiere di Siviglia'...
Nell’ultimo decennio hai cantato più volte alla Scala e al Metropolitan. Cosa si prova a calcare palcoscenici così importanti?
È certamente una grande emozione e un'importantissima meta. Su questi due palcoscenici in particolare (e su pochi altri che si contano sulle dita di una mano) è letteralmente passata la grande storia dell'opera lirica mondiale. Quando canti su questi palcoscenici provi la chiara sensazione di muoverti più all'interno di un un tempio o di un santuario, piuttosto che sulle tavole di un teatro. E incontri professionalità incredibili e di altissimo livello, anche in chi svolge mansioni apparentemente semplici.
E per un milanese cantare alla Scala? Magari la frequentavi da bambino?
Un emozione indicibile; la sala del Piermarini è un luogo già di per se magico ed archetipico; lo è ancor di più per chi svolge questa professione; e lo è, ovviamente, ulteriormente di più se chi svolge questa professione è nato e cresciuto a Milano.
La vidi all'interno la prima volta a otto anni d'età, quando i miei mi portarono a vedere un balletto, "lo schiaccianoci", con la Fracci e Nurejev (nientemeno!) e fu amore a prima vista!
Rimasi a bocca aperta per tutta la luminosa bellezza che si irradiava da quel palcoscenico...la prima opera fu "Turandot" nel 1983 con la Dimitrova, Martinucci e la Ricciarelli diretti da Maazel e la regia di Zeffirelli; un allestimento memorabile che ha fatto storia!
Ricordo anche un trio delle maschere indimenticabile: Panerai, Andreolli e Gavazzi...semplicemente strepitosi!
E poi, diventato un appassionato, vidi a ruota tantissime opere dalla "piccionaia", il tradizionale punto d'ascolto degli intenditori; mi ero anche iscritto agli "amici del loggione", dietro la Scala, in via Silvio Pellico, dove a volte proiettavano video di opere dai principali teatri del mondo. Allora non c'era internet e poter vedere in quella sede quei video sul grande schermo era un'esperienza unica. Ricordo, per esempio, un memorabile 'Don Carlo' da Salisburgo!
Quando firmai il mio primo contratto con La Scala, per via dei restauri le recite si fecero al teatro degli Arcimboldi, alla Bicocca e non era certo la stessa cosa!
Mi chiedevo: "con che opera dovrò considerare di aver debuttato in Scala? Con questa o con la prima che canterò nella sala del Piermarini?" Ma in entrambi i casi si è trattato de "il barbiere di Siviglia", che è quindi l'opera del mio "doppio debutto" scaligero!
Quali sono gli aspetti che ti affascinano maggiormente nello studio di un nuovo ruolo?
La psicologia del personaggio, che il grande musicista traduce, con eccelso intuito, in note da cantare; le note giuste per far esprimere quel personaggio in quella particolare situazione/emozione/pensiero. È questo il genio dei grandi compositori d'opera. Psicologia e vocalità sono strettamente connesse. "prima la musica e poi le parole" - o viceversa - sono enunciati che non mi hanno mai convinto.
Nel melodramma, teatro in musica, si incontra la perfetta sintesi tra le parole e le note musicali, che diventano un tutt'uno inscindibile. Non a caso Verdi fustigava i suoi poveri librettisti affinchè gli trovassero la tanto ambita "parola scenica", dotata di "brevità e fuoco" che schiudeva le ali alla sua fantasia di musicista, facendogli sgorgare dall'animo note poderose e immortali!
Come si costruiscono le giuste fondamenta per una solida carriera come la tua? I tantissimi studenti di canto e giovani artisti alle prime armi presenti fra i nostri lettori, saranno certamente interessati a conoscere qualcosa della tua formazione e dei tuoi inizi. Hai dei consigli da dar loro? Su cosa devono insistere e quali sono le insidie da cui devono guardarsi?
Direi, per cominciare, di non bearsi troppo di un iniziale successo o di facili lusinghe. Ovviamente gioire dei risultati è importantissimo, perchè è il sale che mantiene in vita l'entusiasmo per affrontare al meglio questo lavoro. Ma quando un giovane artista è conscio delle sue belle qualità, l'importante è che segua un percorso serio e a tutto tondo per affinarle. I maestri di canto della vecchia scuola dicevano: "per cantare la voce è la prima cosa! Ma, quando c'è, deve diventare l'ultima", frase lapidaria e chiarissima. Poi direi di stare attenti al repertorio (all'inizio è bene essere molto cauti, meglio un gradino in meno che uno in più, a livello di drammaticità vocale). E trovo sia molto importante, per un artista lirico, considerarsi prima di tutto uno strumentista, un "suonatore della voce". E uno strumentista, per prima cosa, ha cura di mantenere bene il proprio strumento. Se lo strumento non suona più tanto bene, anche tanti altri aspetti affascinanti di questo lavoro, come lavorare sulla pronuncia, sul fraseggio o sull'interpretazione del personaggio, diventano secondari e, soprattutto, non più realizzabili.
Cantare, fino ad un certo punto di difficoltà, è più facile rispetto a suonare uno strumento, perchè è intuitivo. Apri la bocca e canti, mentre per imparare a suonare uno strumento devi, già al primo stadio, avere dei rudimenti tecnici. Più avanti però la faccenda si complica, perchè la voce umana è strumento interno al corpo; non si vede con gli occhi e per imparare a suonar bene questo strumento invisibile bisogna ricorrere ad immagini e a suggestioni atte a far sì che la muscolatura preposta alla fonazione faccia la cosa giusta nel momento giusto. L'artista lirico passa anni a studiare come 'appoggiare' il suono, sostenendolo nel modo giusto. Ed è una ricerca che, tutto sommato, non finisce mai.
Quindi vocalità da curare al meglio con certosina cura! È molto difficile trovare un buon maestro di canto. Un buon metro iniziale di valutazione per uno studente di canto trovo sia osservare se dopo la lezione si è stanchi o se si ha ancora voglia di cantare. Se si è stanchi...consiglio di scappare!
Pensi che l’insegnamento possa essere un’attività verso la quale ti accosterai in un futuro?
Penso proprio di sì. Già adesso quando gli impegni lavorativi me lo concedono do lezione a studenti o a giovani colleghi che me lo chiedono e i risultati sono interessanti.
Ma com’è Franco Vassallo nel privato? Lo dobbiamo immaginare seduto su un trono con la vestaglia di velluto rosso e preziosi ricami dorati?
Eh,eh,eh...sicuramente sono un tipo "old style" e a volte mi accomodo nella scrivania del mio bisnonno (che fu insigne araldista e bibliofilo), una scrivania di fine 'ottocento con le zampe di leone intagliate e, consultando libri d'epoca, stemmi e alberi genealogici, gioco a fare il marchese! Ma nel profondo del mio essere sono un tipo semplice e contemplativo e mi piace fare lunghe passeggiate nella natura e ascoltare...il suono del silenzio. Aria pulita, natura incontaminata e silenzio sono la dimensione che ricerco ogni giorno di più.
Quali sono le tue passioni e i tuoi hobby?
Di araldica e genealogia e delle passeggiate ho già detto. Aggiungerei le marmellate fatte in casa, la storia, il fuoco del caminetto e il buon cibo "slow food"!, numismatica e filatelica, la bicicletta, la filosofia, le terme e...tutto ciò che concerne la "triade elfica" di cui parla Tolkien nella sua epopea: "il Signore degli anelli"; cioè "natura, arte e contemplazione estatica". Più che un nobiluomo un..."nobil hobbit"!
Grazie per la bella chiacchierata e in bocca al lupo per i tuoi prossimi impegni
Grazie a voi e... crepi il lupo!
Danilo Boaretto