A poche settimane da “Aquagranda”, la nuova opera di Filippo Perocco che inaugura la Stagione del Gran Teatro La Fenice di Venezia, incontriamo Andrea Mastroni, giovane ma già affermato basso, che sarà tra i protagonisti di questa novità in prima assoluta. Quale occasione più propizia per porgli qualche domanda sia sul prossimo impegno veneziano che sul suo rapporto col canto nelle sue innumerevoli sfaccettature?
Quando e come ti sei avvicinato alla musica?
È stata una specie di attrazione irresistibile: a quattro anni mi scovarono ripetere su una piccola tastiera le melodie delle pubblicità.. qualcuno parlava di orecchio assoluto, per me era semplicemente un bellissimo gioco! Da lì ho cominciato a otto anni lo studio del clarinetto, ed una volta terminati gli studi a 18 anni, iniziai a studiare il canto e la ricerca della vocalità. Molto piccolo (ma con già una voce molto grave! Ride ndr.), amavo cantare nei cori: una magia ed un piacere incredibile sentire, che più voci si armonizzassero fino a creare una cattedrale sonora. In particolare due episodi mi condussero a pensare, che avrei potuto cantare: ascoltai all’università di Milano – ero ancora matricola nella Facoltà di Filosofia- un recital di un baritono tedesco sull’integrale di Die schöne Müllerin e qualche giorno dopo il Rinaldo di Händel ... pensai che anche io avrei dovuto esprimere quegli affetti. E da lì cominciò tutto: avevo 19 anni!
Sei arrivato al canto da solo o sei stato indirizzato da qualcuno?
Sono cresciuto in una famiglia di origine veneziana, trapiantata a Milano. Mia madre è stata insegnate di scuola materna e mio padre un restauratore di libri antichi: hanno sempre avuto sensibilità nell’ascolto della musica, ma non avevano nessuna attinenza con questa da un punto di vista professionale, e tantomeno con l’opera. Credo di avere ereditato dai nonni materni la tradizione del canto e del ballo popolare. Mio nonno materno aveva un timbro di voce splendido ed un senso dell’intonazione encomiabili! Dopotutto l’Italia ha sempre conservato una grande tradizione di popolarità e di canti tradizionali regionali, che trovo davvero affascinante.
La tua carriera si sta svolgendo, con grande successo, prevalentemente all'estero. È difficile sviluppare un percorso musicale in Italia?
In realtà è stata una scelta precisa: avendo avuto la possibilità di scegliere tra molte proposte, ho prediletto l'estero, specie in Spagna, Francia, Germania e Stati Uniti. Amo molto lavorare in situazioni, dove noi artisti siamo ancora davvero una componente essenziale del marchingegno ‘opera’, ma anche di quello musicale in generale. E questo è molto evidente nella tutela dei nostri diritti, cosa che, a grande malincuore, non accade nella nostra Italia: il nostro patrimonio artistico e culturale sembra non essere più una priorità per un sistema d’istruzione e legislativo come il nostro. E purtroppo da qui la scelta (amara!) di non cantare quasi del tutto in Italia, salvo poche circostanze.
Oltre a Mozart, quali sono i tuoi ruoli d'elezione?
A parte Sarastro, Osmin e Leporello, ruoli mozartiani d’elezione, amo molto Rossini, specie Mustafà de l’italjana in Algeri e Lord Sidney ne Il viaggio a Reims, il barocco di Händel (specie per Ariodante e Orlando), pochissimi ruoli verdiani (a parte Rigoletto, di cui ho superato le 200 recite, e Simon Boccanegra, che debutterò quest'anno a Montecarlo e Parigi). La musica tedesca ha sempre rappresentato un grande sogno: l'anno prossimo debutterò il mio titolo wagneriano, Siegfried. E mi piacerebbe aggiungere König Marke da Tristan! Chissà.
Sei interprete sensibilissimo del repertorio cameristico francese. Il tuo cd con l'integrale delle Mélodies di Duparc (che ho recensito qui su OperaClick) è magnifico. Ci racconti qualcosa sul tuo evidente amore per la mélodie e qual è il tuo approccio a questo genere?
Come ti raccontavo, l'amore per il canto è nato esattamente dalla liederistica e dal fatto che anche come clarinettista vinsi alcuni concorsi nazionali ed internazionali di musica da camera. Quindi il gusto e il piacere della ricerca musicale ed espressiva nel contesto di questo genere ‘per pochi’ mi ha sempre attratto: il disco sull’integrale delle Melodies di Duparc, su cui Brilliant ha investito un grande interesse (ed alla quarta ristampa), è stato un primo saggio di questo mio indirizzo per il canto da camera. Il segreto è davvero quello di poter spaziare nella tavolozza espressiva ed osare colori e suggestioni di dinamiche anche estreme, come piani, ppp, mezzevoci...
In realtà questa mia inclinazione l'ho sempre portata anche nell’opera, perché esistono momenti drammaturgici, che ti richiedono uno scavo espressivo fuori del comune. La Vecchia zimarra non è forse un lied?
Altra rarità per un cantante italiano è costituito dalla liederistica. Ci parli un po' del tuo Erlkönig?
Erlkönig è stata un'esperienza speciale da vari punti di vista..una cavalcata di cui tu, interprete, sei tutti e quattro i personaggi, ovvero Narratore, der Vater, il Kind e Erlkönig. Tutto ciò da snodare sulle risposte sempre più incalzanti del tempo vivace della fuga notturna. Alcuni mesi fa incontrai un grande artista videomaker, Nicola Garzetti, di cui conoscevo alcune opere... e gli proposi di idearmi una regia per portarlo in video.. e il risultato ha dato moltissimi riscontri!
Tra poco sarai impegnato alla Fenice di Venezia nella prima assoluta di Aquagranda , opera musicata da Filippo Perocco che verrà rappresentata con la regia di Damiano Michieletto. Ci sveli qualcosa in anteprima?
L'opera, Aquagranda, di Filippo Perocco, un affermato compositore italiano, è stata una proposta eccellente del Teatro La Fenice, che mi ha scelto per eseguire questo difficile ed intrigante ruolo protagonista, Fortunato, che prevede l'arrivo di quella terribile alluvione [quel 4 novembre del ‘66], che cresse (il libretto è in dialetto veneziano ndr). E da lì si snoda l’intreccio della vicenda. Un'opera viscerale, forte: un gruppo di esseri umani, amici, amanti, padre, figlio, con i loro vissuti contrastanti quotidiani, si trovano tutti vicini, senza scampo, forse con l’angoscia di morire quella stessa notte, in cui forse l'acqua non avrebbe risparmiato nessuno. E lì sono tutti uguali di fronte ad una sorte, che li risparmierà.
Sono molto legato a questa situazione per varie ragioni: il ruolo sembrava scritto esattamente sulla mia vocalità (ha escursioni gravi che si spingono ai re gravi, con un'estensione di due ottave, ed una scrittura nervosa e sussurrata); due miei parenti –dicevo delle mie origini veneziane - che quel giorno del 1966 lavoravano a Venezia, rischiarono di perdere la vita, durante questa tragica alluvione, che sommerse la città per quasi 2 metri. Puoi immaginare cosa potrà significare raccontare sulla scena qualcosa, che da piccolo mi avevano raccontato molto spesso? Una rara e speciale coincidenza. Stiamo lavorando con grande impegno in questo periodo di prove con Marco Angius, che dirigerà l'opera, grandissimo esperto del repertorio contemporaneo, e Damiano Michieletto, con il quale ho il piacere di lavorare per la prima volta, in uno spettacolo davvero toccante e denso di relazioni e conflitti, di cui ancora, però, non posso svelare nulla.
Quali i tuoi impegni dopo Venezia?
Dopo aver inaugurato lo scorso settembre lo Staatsoper di Amburgo con una nuova produzione di Die Zauberflöte, diretta da Jean-Christophe Spinosi, debutterò al Met con Rigoletto, poi Fiesco a Montecarlo e Parigi, Don Carlo e ancora Rigoletto al Covent Garden, un progetto discografico sulle arie per basso di Händel per il Montagnana, Siegfried e Pelléas et Melisande con Emilio Sagi al Campoamor di Oviedo, Turandot al Teatro Real di Madrid.
Che consiglio daresti ad un giovane che volesse accostarsi al canto?
Senz’altro un primo consiglio (vocale) potrebbe essere di non accettare mai informazioni sulla tecnica in maniera dogmatica: chiedere sempre il perché di alcuni consigli! questo distingue i bravi maestri di canto, da chi invece usa espedienti. Ascoltare le proprie percezioni e classificarle, discuterne. E mettere in conto che facciamo i conti con uno strumento, che non rimane sempre lo stesso. . Per quanto riguarda il fare questo mestiere,è un arte nobile, che ad un certo punto diventa anche una scelta di vita: significa abituarsi a fare la vita del solista, ovvero di colui, che viaggia in solitaria da un teatro all'altro, vivendo in case sempre diverse, in culture e lingue spesso differenti. Questi sono compromessi, a mio avviso, che un giovane cantante debba mettere in conto e deve considerare, specie per quella che è la figura del cantante lirico moderno.
Come passi il tempo libero?
Amo molto il cinema, ci vado spesso, amo molto mostre di Arte Contenporanea, sono molto appassionato di Design e Teatro di prosa, e appena posso cerco di andarci. E ovviamente prendermi cura di Timur (ride!), il mio cane, un piccolo cavalier king.
Sei uno sportivo?
Ho sempre amato il dinamismo e prediletto un po' di atletica leggera, che ho anche praticato in passato: amo tenermi in forma, anche perché un allenamento mirato è davvero parte integrante di questo strumento, che chiamiamo ‘corpo cantante’.
E con il cibo che rapporto hai?
Amo molto seguire ciò che mi fa stare meglio: noi siamo ciò che mangiamo... ed è vero! Curo molto la mia alimentazione, specie nella scelta dell’alta qualità dei cibi. Amo molto alcune ricette vegane, pur non essendo tale, e I sapori, che ti portano alle origini. E l'Italia è il paese del Bel (Buon!) cibo!
Grazie mille Andrea, in bocca al lupo per “Aquagranda” e per i tuoi molteplici impegni futuri.
Grazie a voi e un saluto ai lettori di OperaClick.
Alessandro Cammarano