Come tante anime nobili e belle che conosco anche Francisco Casanova era della Bilancia, nato il 3 ottobre del 1957 a Santo Domingo.
Posso dire che sia stato tra i primi veri contatti che ho avuto nel mondo dell’opera quando ragazzino-melomane iniziavo a girare i teatri. Nell’ottobre del 2007 assistetti ai Vespri Siciliani che inauguravano la stagione del Teatro Carlo Felice di Genova; Francisco era Arrigo e, per me, che avevo nelle orecchie la lezione verdiana dei grandi fu una rivelazione. Ascoltai per la prima volta quello che oggi riconosco come un fraseggio di alta scuola, “all’antica”. La lezione che a me ascoltatore ancora inesperto dette Francisco veniva infatti da lontano, dai suoi studi con un pezzo di storia dell’opera: Pier Miranda Ferraro.
Ricordo che salii nei camerini entusiasta di tutto ciò che avevo sentito e mi presentai trovando di fronte a me una persona umile e di rara affabilità. Lui capì immediatamente che l’entusiasmo che mi animava era destinato a tradursi nella volontà di intraprendere lo stesso suo cammino. Parlammo e tanto, e tutt’ora conservo ancora la sua dedica sullo spartito dei Vespri.
Dopo qualche mese gli rivelai il desiderio di voler tentare lo studio del canto e, sentendomi titubante, mi propose di farmi ascoltare da Ferraro. Quel pomeriggio pioveva ed arrivai in ritardo trovando il Maestro impaziente per l’attesa; cantai “Non più andrai farfallone amoroso” da Le nozze di Figaro. Il Maestro rifletté e volle farmi fare un vocalizzo arrivando fino al La Bemolle: “Un La bemolle così un baritono non lo fa. Sei tenore”.
Chiamai Francisco, emozionato più di me della mia visita al suo Maestro, ma mi disse di aspettare ancora. In quegli anni dal 2007 l’ho ascoltato molte volte rinnovando sempre in me il piacere di imparare ogni volta ed ascoltare un tipo di canto che ritengo si sia perduto. Mi diceva sempre che del canto non si può parlare, che sul canto non si può pensare specialmente alla mia giovane età; “la lingua è la madre della voce, ricordatelo sempre”: questa sua attenzione alla parola traspariva nel suo discorrere durante le lunghe telefonate che ci facevamo, io dall’Italia e lui dall’America.
Aveva un modo di raccontare la sua quotidianità toccante e poetico, l’amore per i suoi gatti Bruno e Ianina, le passeggiate sulla spiaggia, gli incontri con i pescatori e infine la soddisfazione nel vedere progredire i suoi allievi.
La cosa che non dimenticherò di lui sarà sicuramente l’attenzione paterna nei miei confronti e la voglia di vedermi realizzato fino a poco tempo fa.
Ciao Francisco e grazie per avermi illuminato la strada.
Il tuo giovane amico Didier
Didier Pieri