Il 6 ottobre scorso ero a Barcellona per uno dei miei viaggi operistici. Al mattino, mentre io e i miei compagni di scorribande musicali ci stavamo preparando a lasciare l’hotel alla volta dell’aeroporto, cominciarono ad arrivare messaggi sui telefonini con la notizia della morte di Montserrat Caballé. Confesso che il mio primo istinto fu quello di andare a rendere omaggio a una delle massime artiste liriche del XX secolo, che avevo amato fin da ragazzo e avevo anche avuto modo di ascoltare al tempo dei suoi massimi splendori. Poi la ragionevolezza o, meglio, la rete di impegni e di doveri della vita quotidiana, prevalsero. Però durante il viaggio di ritorno non potei fare a meno di pensare a lei e ai miei primi ascolti. Premetto che per merito (o per colpa?) della mia famiglia al completo (nonni paterni compresi) ho respirato fin dalla nascita un’atmosfera operistica, cosicché a metà degli anni sessanta, benché giovanissimo, mi trovai ad avere già una preparazione musicale ed esperienze di ascolto sia teatrali che casalinghe non indifferenti. Allora non c’era internet, né tantomeno Youtube, e, come mi è già capitato di dire in occasione della dipartita di Cristina Deutekom, la principale fonte di informazione per noi melomani (oltre alle recensioni sui quotidiani, infinitamente più numerose e dettagliate di quelle di oggi) era la radio, con le dirette dai teatri, circoscritte all’Italia, e una trasmissione settimanale Il mondo dell’opera, in onda la domenica sera. E fu da Franco Soprano (nomen omen), il curatore del programma, che sentii per la prima volta parlare di Montserrat Caballé.
Era di poco tempo prima l’esplosione della sua fama, dopo una gavetta di quasi due lustri prima all’Opera di Basilea e poi in giro per l’Europa nei repertori più svariati, con la sostituzione quasi all’ultimo minuto di Marilyn Horne, indisposta, come “Lucrezia Borgia” alla Carnegie Hall. Era il 20 aprile1965. Praticamente coeve sono le incisioni dei primi due dischi, uno con arie di Verdi, Puccini, Donizetti e Charpentier, l’altro dedicato a Bellini e Donizetti. Ed è grazie a quest’ultimo che feci la conoscenza radiofonica di una delle più belle e singolari voci da me ascoltate. Casta Diva, la pazzia di Imogene, l’ingresso di “Lucrezia Borgia”, Vivi ingrato, Havvi un Dio, furono i suoi biglietti da visita. Dell’anno successivo è l’incisione della sua prima opera completa in studio, che non poteva che essere di nuovo “Lucrezia Borgia”, rôle fétiche di questo momento della carriera, tanto che servì pure ad aprirle le porte della Scala da protagonista nel 1970 (era stata una delle Fanciulle fiore nel “Parsifal” diretto da Cluytens dieci anni prima). Del 1967 sono l’incisione di “Traviata” con Prêtre e il disco di rarità rossiniane, cui seguiranno, l’anno successivo, quello di rarità verdiane e “Salome” sotto la guida di Leinsdorf.
Montserrat Caballé: Roberto Devereux - E Sara in questi orribili momenti... Vivi ingrato.
Parigi, 15 ottobre 1966
Il 15 dicembre 1968 è una data come una un’altra per la maggior parte delle persone, ma per me riveste un’importanza tutta particolare. Al Comunale di Firenze stava andando in scena un’edizione del “Trovatore” diretta da Thomas Schippers, con un cast che comprendeva Richard Tucker, Franca Mattiucci, Mario Zanasi e, appunto, Montserrat Caballé. Era una domenica pomeriggio e quella recita fu scelta da mio padre perché era l’unica pomeridiana domenicale, anche se al tenore americano sarebbe subentrato Luigi Ottolini, un buon professionista che era già stato Manrico cinque anni prima nella città del giglio, affiancato dalla Maragliano e Cappuccilli, sotto la guida di Gavazzeni (per inciso il mio primo Trovatore). L’interesse e la curiosità del pubblico erano dunque tutti incentrati, oltre che su Schippers, sulla nuova diva spagnola, già protagonista l'anno prima di un “Pirata” che aveva riscosso un successo caldo ma non particolarmente eclatante (come mi era stato detto da chi aveva presenziato a quelle recite). Si trattava quindi del mio primo incontro dal vivo con la Caballé che tanto mi aveva stregato negli ascolti radiofonici. Di primo acchito l’impressione non fu travolgente. Si trattava di una cantante dotata di una voce molto bella, di un timbro prezioso con caratteristiche che la rendevano immediatamente riconoscibile, capace di un legato di alta scuola e una tecnica evolutissima. Però gli spazi enormi del Teatro Comunale (ero in seconda galleria) la penalizzavano un po’ e i primi tre atti passarono senza intoppi, ma aleggiava un vago senso di delusione. In realtà il pubblico era allora abituato, in Verdi, a vocalità più sostanziose, soprattutto al centro e in basso e la delicata voce della Caballé, lo spiazzò un poco. C’è da dire che in quegli anni il soprano catalano adottava un tipo di emissione belcantistica, più raccolta e meno espansiva di quanto sarebbe accaduto da lì a pochi anni. Infatti quando ebbi di nuovo occasione di riascoltarla dal vivo (una decina di anni dopo), notai una voce più sonora, ma anche leggermente meno flessibile e soprattutto meno incantatrice nel dipanare i magnetici suoni filati d’antan. Probabilmente la scrittura di Leonora (scena della torre a parte) non era quella che valorizzava di più i suoi mezzi vocali. Lei stessa, in un’intervista, affermò che il ruolo non poteva definirsi la sua tazza di tè, ma amava tanto la seconda aria da non potervi rinunciare. Torniamo a quel Trovatore. Dunque, dopo tre atti accolti da un buon successo, avvenne il miracolo. Da Timor di me in poi la Caballé, sostenuta da un’orchestra delicatissima, quasi impalpabile, eppure avvolgente, si produsse in una prestazione che aveva del prodigioso. Trilli impeccabili, legato mirabile, facilità di emissione confondente, accenti dolci, sognanti, percorsi da una tristezza infinità e quei suoni in pianissimo, anche ad altissima quota, che ti ipnotizzavano, stelle filanti luminose che attraversavano tutto il teatro e si depositavano nei cuori degli spettatori. Uno dei momenti più esaltanti di tutta la mia (ormai lunghetta) esperienza di ascoltatore. Alla fine di D’amor sull’ali rosee il teatro esplose in un boato e lo spettacolo si fermò per qualche minuto. Ricordo ancora mio padre, cresciuto a pane, Cigna e Caniglia, applaudire commosso. Poi la recita andò avanti su livelli buoni ma si dovette arrivare a Prima che d’altri vivere per avere un altro momento di incantamento. Già allora il soprano catalano, ma meno che in seguito, aveva la tendenza a cantarsi addosso e a prendersi libertà musicali quando non sostenuta da una bacchetta che sapeva metterla in riga. E quella volta la guida con gli attributi c’era e il risultato si sentiva.
Degli anni immediatamente successivi sono il disco di rarità donizettiane, quello, splendido, di duetti con la Verrett, ambedue al massimo delle loro possibilità vocali ed espressive, e l’altro, forse meno idiomatico dal punto di vista espressivo ma portentoso nel lusingare l’orecchio, dedicato a Puccini. Nel frattempo il repertorio si ampliava a dismisura e vennero “Maria Stuarda” e “Roberto Devereux”, oltre a un numero sempre più consistenze di ruoli verdiani e pucciniani.
Nel 1970 ci fu il debutto in “Norma” nella sua città, Barcellona, in quello che resterà un po’ il regno della Caballé per tanti altri anni, il Teatro del Liceu. Il capolavoro belliniano resterà uno dei capisaldi della carriera dell’artista, che con esso scriverà una pagina storica dell’interpretazione belliniana. Ripreso innumerevoli volte (in due occasioni alla Scala), sarà portato in sala di incisione nel 1972 dalla fida RCA e tenuta in repertorio a lungo. È stata fortunatamente messa in commercio in DVD e in CD quella che forse è la sua più completa e entusiasmante interpretazione di “Norma”, quella del 1974 al Théâtre Antique di Orange, con la bacchetta di Giuseppe Patanè e le voci di Jon Vickers, Josephine Veasey e Agostino Ferrin, in cui anche un impietoso mistral la fa da protagonista con svolazzi di vesti e veli ma senza, per fortuna, grossi danni all’audio.
Montserrat Caballé: Norma - Casta Diva... Ah bello a me ritorna (1971) | Teatro Real
La discografia di Montserrat Caballé è sterminata e ancor più impressionante se si tiene conto anche di quella live. Impossibile in questa sede dar conto di tutto. Vorrei però segnalare alla rinfusa almeno il “Don Carlo” con Giulini (ma esistono anche diverse testimoniante dal vivo di altissimo livello, magari meno rigorose musicalmente ma ancor più sbalorditive vocalmente), “Aida” con Muti (con un O cieli azzurri non men che paradisiaco), “Luisa Miller” con Maag, “Giovanna d’Arco” con Levine (uno dei suoi esiti più alti) e “Turandot” con Mehta (Liù). Mi preme infine di ricordare alcune sue maiuscole performances di cui ci sono rimaste preziose tracce dal vivo talvolta in più produzioni (vedi titoli donizettiani): “Maria Stuarda”, Elisabetta in “Roberto Devereux”, “Alaide”, la sua rivelatrice Elena della “Donna del lago”.
Montserrat Caballé: Aida - O cieli azzurri - (dir. R.Muti)
Dalla seconda metà degli anni settanta il repertorio si aggravò di ruoli sempre più pesanti: Turandot, Gioconda, Sieglinde, più tardi perfino Isolde, che si aggiungevano a Tosca, Maddalena, Santuzza, Leonora della “Forza del destino”, non proprio un balsamo per il suo tipo di vocalità, in origine un lirico con straordinarie capacità tecniche che le permettevano gli sconfinamenti più disparati; senza contare buona parte del suo precedente repertorio non di tutto riposo (“Norma” in un numero sterminato di produzioni, Amelia nel “Ballo in Maschera”, Elena dei “Vespri Siciliani”, Salome). E la voce, sembra anche per motivi di salute, iniziò di anno in anno ad appesantirsi, a perdere quella meravigliosa purezza, quella stupefacente omogeneità, quella confondente facilità di produrre suoni governandoli a proprio piacimento.
Purtroppo nelle successive esperienze d’ascolto dal vivo non fui altrettanto fortunato come la prima volta. Buoni i concerti fiorentini, quello del 1978 e tutto sommato anche quello di una decina di anni dopo. Ma la “Gioconda” di Orange del 1983 fu assai deludente (oltre a tutto con un contorno assai modesto) e della contestata “Ermione” pesarese si è ormai parlato ad abundantiam. Ho un bel ricordo invece del mio ultimo incontro con lei, lo spiritoso cameo dell’anziana cantante come smemorata Duchesse de Crakentorp nella “Fille du régiment” viennese con la Dessay, Florez e la sensazionale regia di Pelly.
Ma al di là degli umani limiti e degli accidenti della vita Montserrat Caballé resta nel suo genere una specie di fenomeno vocale e tecnico, un’artista dalla personalità soggiogante, oltre che una donna dalla simpatia contagiosa, come abbiamo avuto modo di constatare nelle interviste e nei filmati delle prove che per fortuna ci sono rimasti. Sicuramente uno dei talenti di punta del secolo scorso e una delle più affascinanti vocalità testimoniate dal disco.
Silvano Capecchi