Negli ambienti musicali torinesi e tra gli spettatori del Regio ha destato particolare attenzione e commozione la notizia della scomparsa di Claudio Desderi avvenuta nelle scorse settimane a Firenze. Una ventina di anni fa, precisamente tra il 1999 e il 2001, il baritono di origini piemontesi (era nato ad Alessandria nel 1943) era stato infatti chiamato da Giorgio Balmas, allora sovrintendente della Fondazione, per ricoprire il ruolo di direttore artistico rimasto vacante dopo le dimissioni di Carlo Majer. L’esperienza di Desderi al timone del Regio durò appena due anni ma fu comunque un periodo significativo e decisivo per la crescita artistica del teatro a livelli internazionali.
Il baritono non era certamente un nome nuovo per i melomani torinesi. Ripercorrendo la cronologia degli spettacoli del Regio troviamo una sua significativa presenza nell’arco di poco meno di quindici anni: “Il signor Bruschino” (1969), “La vida breve” e il “Torneo notturno” di Malipiero (1970), “La figlia del reggimento” (1971), “Werther” (1973), “I tre Pinto” di Weber (1975), “Falstaff” (1976), il “Barbiere” (1978), “Il castello del principe Barbablù” (1979) e, infine, la “Cenerentola” (1982).
L’arrivo del cantante in veste amministrativa negli uffici di Piazza Castello fu una boccata di ossigeno per le sorti del teatro allora in cerca di identità dopo le dimissioni di EldaTessore Mittone e Majer, il binomio che nel corso degli anni Novanta aveva risanato la situazione finanziaria del Regio (la storia si ripete) portando, al contempo, il teatro a livelli di notorietà internazionale con alcune produzioni ancora oggi indimenticate (gli allestimenti di Ronconi di “La damnation de Faust” e di “L’affare Makropulos”, la “Bohème” del centenario, l’“Otello” con Abbado e Ermanno Olmi).
Desderi giunse a Torino con l’esperienza della direzione del Verdi di Pisa e, nel suo nuovo incarico, diede subito prova della propria cultura musicale aprendo decisamente al Novecento e a titoli spesso desueti dell’Ottocento. Con perspicacia fu lui ad affidare a Bruno Campanella, notoriamente dedito a Rossini e al belcanto, la direzione della “Carriera di un libertino” che aprì la stagione del 1999/2000. A pochi mesi da quella memorabile première, Desderi portò in prima nazionale in lingua originale una nuova produzione dei “Diavoli di Loudun” di Penderecki e a seguire la prima rappresentazione torinese di “Assassinio nella cattedrale” di Pizzetti con Ruggero Raimondi nel ruolo dell’arcivescovo Tommaso Becket e Bruno Bartoletti sul podio.
La particolare attenzione al Novecento, che derivava a Desderi dalla propria formazione musicale, si aprì anche a lavori poco frequenti come l’altro “Wozzeck” di Manfred Gurlitt, “Sly” di Wolf – Ferrari (con Carreras), “Il nano” di Zemlisky, “Edipo re” di Leoncavallo e “Il prigioniero” di Dallapiccola. Ardita fu l’inaugurazione della stagione 2001/2002 con la prima esecuzione italiana del “Lear” di Aribert Reimann con la regia di Ronconi. Lo spettacolo fu un trionfo (per molti inaspettato) da parte del pubblico e galvanizzò per settimane l’attenzione della stampa internazionale sul Regio.
A far da collante alle arditezze novecentesche della programmazione, il grande repertorio con nuove produzioni, ad onor del vero non sempre riuscite (“Lucia di Lammermoor”, “Barbiere”, “Norma” e “Forza del destino”) e riprese di noti spettacoli ancora sconosciuti a Torino (Ponnelle con “L’italiana in Algeri”, Zeffirelli con “I pagliacci”, Puggelli con “Fedora”, Fassini con “Traviata”, Carsen con “Mefistofele”, Ronconi con “Lohengrin”). Si varcarono i confini di genere con l’incursione nel musical (“Kiss me Kate”) e si presentò addirittura una prima assoluta con una – non indimenticabile – “Carmen 2, le retour” confezionata da Jérôme Savarysu musiche di Bizet e Gérard Daguerre.
Di carattere gioviale, Desderi fu poi abile nel dialogare e nell’intessere rapporti con numerose realtà culturali e musicali cittadine. Molto partecipato fu un master da lui tenuto su “Così fan tutte” presso l’Accademia della voce. Un percorso didattico rivolto a giovani cantanti che si concluse con l’esecuzione concertistica del capolavoro mozartiano con la sua direzione e la partecipazione dell’Orchestra Filarmonica di Torino.
L’esperienza nell’insegnamento di Desderi, già allora consolidata a Fiesole, portò frequentemente sulle scene del Regio alcuni suoi allievi tra i quali ricordiamo con particolare piacere Patrizia Ciofi, Umberto Chiummo, Gianluca Sorrentino e Maria Costanza Nocentini. Oltre ai giovani, Desderi riuscì a riportare sulle scene torinesi i grandi nomi: oltre ai già ricordati Raimondi e Carreras, anche Mirella Freni (per “La pulzella d’Orleans” e “Fedora”) e, per una recita, Placido Domingo (“Fedora”), Ghiaurov (“Norma”). In un momento di continui richiami politici a non meglio definiti e piuttosto allarmanti concetti di “teatri nazionali” (secondo l’espressione della mozione del consigliere comunale pentastellato Massimo Giovara in merito al futuro “nuovo” corso del Regio di Torino) ripercorrere la storia di quegli anni e notare l’allora costante partecipazione del pubblico insegna ancora una volta che è possibile portare la gente a teatro anche con titoli non scontati. Perché ciò avvenga è però indispensabile stuzzicare la curiosità e saper confezionare spettacoli intelligenti, non banali e capaci di entusiasmare.
Artista poco propenso ai compromessi, Desderi lasciò l’incarico al Regio alla fine del 2001 per passare al Massimo di Palermo. Alla guida della Fondazione era intanto arrivato un giovane Walter Vergnano e sulle sponde del lago Maggiore un certo Gianandrea Noseda assumeva la direzione delle “Settimane Musicali” di Stresa. Di lì a pochi anni il maestro lombardo, pupillo di Gergiev, sarebbe approdato alla direzione musicale del Regio. Ma questa è un’altra storia.
Lodovico Buscatti